Prima di affrontare l’argomento del duplice ruolo rivestito dal product placement è importante capire in cosa consista concretamente e, per farlo, il metodo più semplice è quello di utilizzare degli esempi: avete presente il timido Peter Parker, alias Spiderman, quando, appena ricevuti i suoi superpoteri li prova su una lattina di Dr. Pepper? E quando, non avendo ancora imparato ad usarli al meglio, chiede un passaggio ad un camion della Carlsberg durante il primo inseguimento? Oppure, per citare un esempio nostrano, dato che la pratica del product placement è stata recentemente legalizzata anche nel nostro Paese (Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 28 dell’ allora Ministro dei Beni e delle Attività Culturali Giuliano Urbani), se avete visto Il mio miglior nemico in cui il giovane Orfeo (S. Muccino) decide di rovinare la vita del cinico Achille De Bellis (C. Verdone), top manager di un'importante catena alberghiera, per vendicare il licenziamento della madre, vi ricorderete che nel raggiungere il suo scopo il ragazzo è aiutato da un videofonino UMTS Samsung, con il quale scatta all’imprenditore delle foto compromettenti e in seguito sempre con lo stesso farà delle lunghe videochiamate con la collaborazione di Vodafone; sicuramente non vi sarà sfuggito poi che il nostro Orfeo lavora in un bar, in cui si svolge uno dei primi incontri con quella che poi scopriremo essere la figlia di Achille, di cui il giovane s’innamora, indossando un grembiule della Moretti e servendole da bere con un vassoio della stessa birra.

Adesso che ci è chiaro il concetto di product placement è interessante analizzarne la definizione: “Il product placement è una sofisticata tecnica di comunicazione aziendale che consiste nel posizionare un prodotto o un brand all’interno di un contesto narrativo precostituito che può essere una pellicola cinematografica o televisiva, un romanzo, un video musicale, un videogioco, ecc., riuscendo a integrarsi in esso” (Definizione di Gerardo Corti, in Occulta sarà tua sorella. Pubblicità, product placement, persuasione: dalla psicologia subliminale ai nuovi media, Castelvecchi, Roma, novembre 2004)..
Quindi, in altre parole e in particolare nell’ ambito cinematografico, si tratta di completare le scene di un film inserendo prodotti e marchi visibili al duplice scopo di pubblicizzare un’azienda committente e di rendere più realistica una scena che, se ricostruita con marchi immaginari, sembrerebbe troppo irreale.

Dal punto di vista del marketing questa pratica ha l’obiettivo di creare e gestire nel corso del tempo la notorietà della marca, modificando progressivamente, secondo le esigenze, i significati associati al prodotto. Si tratta quindi di uno strumento di comunicazione aziendale che si differenzia da tutti gli altri e che se usato in maniera adeguata può risultare estremamente efficace.
Per farvi capire l’ enorme potenzialità comunicativa di un product placement eseguito accuratamente è sufficente citare quello che viene considerato un “caso da manuale”: E.T. L’extraterrestre di Steven Spilberg. Questo film, infatti, ha segnato la storia del product placement in quanto ha permesso agli americani di superare una certa diffidenza verso questo strumento grazie ai successi ottenuti da alcune aziende e alle relative occasioni mancate da altre. E’ il caso di M&M’s che fu contattata dalla compagnia di produzione di Spilberg per posizionare il proprio prodotto in E.T. L’extraterrestre. Le praline di cioccolato sarebbero servite per attirare E.T. da Elliot così da creare il primo incontro con l’alieno. La M&M’s rifiutò il progetto ritenendolo inopportuno, così la produzione passò l’offerta a alla Hershey per i Reeve’s Pieces, deboli concorrenti delle M&M’s, che detenevano una piccola quota di mercato. L’Hershey accettò e in poco tempo, grazie al successo del film e al fatto che le praline di cioccolato avessero fatto nascere l’amicizia tra il bambino e l’alieno, le vendite di Reeve’s Pieces aumentarono del 66%, cominciarono a conquistare le quote di mercato della M&M’s fino a permettersi di competere allo stesso livello.

L’efficacia del product placement si relaziona direttamente con il suo livello di presenza narrativa e con la sua capacità di convertirsi in un elemento, che da solo giustificato, diventa imprescindibile. Un brand può essere collocato come semplice accessorio di decoro, può servire a dare informazioni sul personaggio e può essere utilizzato come risorsa narrativa sul quale si sviluppa una scena o un dialogo. Però, soprattutto, il product placement converte un marchio in parte di un’ immagine, in un segno che può significare: quello che è e significa in realtà per lo spettatore (in quanto oggetto della sua realtà); quello che significa in relazione con altri elementi come i personaggi, le azioni, il colore di una scena (in quanto oggetto della storia); e quello che vogliamo che significhi rispetto all’ immagine della marca.
L’altra importante funzione del product placement che stiamo considerando ci appare invece più evidente, in quanto marche e prodotti sono chiaramente necessari, soprattutto nelle pellicole ambientate nell’attualità, sia alla realizzazione del film in modo realista, che alla caratterizzazione di determinati personaggi.
Sarebbe, infatti, impossibile creare un film unbranded in cui i distributori riportano la scritta “benzina” o le birre con l’etichetta “birra”, non sarebbe sopportabile né per gli spettatori né per il regista. E, per quanto riguarda la caratterizzazione del personaggio, fargli utilizzare un determinato brand consente l’automatica identificazione con una certa classe sociale, con un preciso stile di vita, senza dover appesantire troppo la sceneggiatura. Inoltre avendo un diretto collegamento con la realtà, lo spettatore può identificarsi meglio con la vicenda narrata sullo schermo.

A questo punto può essere utile citare il caso emblematico rappresentato dal film Laura di Otto Preminger del 1944, interpretato da Gene Tierrney, Dana Andrews e Vincent Price. Si tratta di un noir che narra di un detective (Dana Andrews) alle prese con il mistero di una “donna che visse due volte”. Come ogni detective del noir che si rispetti, il protagonista è un antieroe e come tale ha ogni tipo di vizio, compreso quello di bere whisky Black Pony (whisky completamente inventato). Il film fu un successo e riuscì ad affezionare a tal punto il pubblico al protagonista che i negozi furono presi d’assalto da consumatori desiderosi di bere il Black Pony, i commercianti spaesati si rivolsero ai distributori i quali arrivarono alle aziende e da lì a Hollywood.
Grazie a questa esperienza Hollywood capì che forse era più conveniente trovare un accordo direttamente fra le aziende e i produttori cinematografici. É per questo che in tempi più recenti troviamo un moderno Robinson Crusoe, in Cast Away, manager della Fedx, fatto che rafforza la sua credibilità di fronte al pubblico: infatti non sarebbe lo stesso se lavorasse per la Pinco Pallino Wordwide Express.