Gli anni Cinquanta, in Italia, si lasciano alle spalle le tematiche del neorealismo e, prima del boom e dell'esplosione della commedia, presentano al pubblico una stagione di melodrammi. Donne senza risorse e in difficoltà subiscono una condizione ritenuta a priori inferiore e sacrificabile: da qui la formula del film strappalacrime.
Chi li vide all'epoca non li ha dimenticati, per la dimensione drammatica e un'aura patetica gonfiata all'estremo dalla durezza dei temi e dalla recitazione teatrale e sofferta degli attori. Ecco che i ricordi vanno alle produzioni di Matarazzo e al volto di Amedeo Nazzari; il pubblico, soprattutto femminile, guarda le pellicole e piange contemplando chi piange a sua volta per l'ingiustizia subita e per le sfortune della vita.
Il sottotesto di questi melodrammi conteneva, spesso inconsapevolmente, una forte carica di denuncia al tipo di società e a certe leggi del tempo, come quella che tutelava l'omicidio d'onore, abrogata addirittura nel 1981. Si è discusso abbastanza sull'effettivo valore artistico di queste opere, ma non si può negare l'efficacia del ritratto della donna, dipinta nella sua più completa impotenza e nudità nei confronti della società. Il libro di Morreale abbraccia il contesto cinematografico e sociopolitico degli anni Cinquanta e illustra in che modo certi messaggi passavano nel melodramma e come la figura della donna aveva bisogno, nel prodotto film che sarebbe poi passato dal cinema anche alla tv, di essere presentato per non incorrere in problemi di censura, specialmente nel caso i riferimenti fossero alla prostituzione o a situazioni scomode.
L'eredità di quei film è stata identificata nella fiction, quindi nella produzione televisiva. Anche se è difficile non notare come nella miniserie, diciamo, odierna l'aspetto drammatico sia notevolmente stemperato rispetto a quello di sessant'anni fa e quanto sia futile cercare un credibile tentativo di analisi della società che punti a smuovere qualche mente.