Siamo parte di un tutto oppure no? Facciamo anche noi, esseri umani (o presunti tali), parte del regno animale e vegetale, siamo anche noi parte della cosiddetta “natura” oppure ci eleviamo al di sopra di essa grazie alla nostra indiscutibile facoltà razionale?
Insomma, siamo parte del processo dell’evoluzione o siamo “creature” di un’entità superiore, immuni dai comuni istinti di cui sono succubi, senza possibilità di scelta, gli animali e i vegetali?
Un animale agisce per istinto: si nutre quando percepisce il senso di fame; si accoppia spinto da impulsi fisici e non per volontà e/o sentimento; uccide se è messa a repentaglio la sua stessa sopravvivenza.
Analogamente, un albero che apparentemente sembra statico segue una sua logica dettata dai ritmi della natura: in autunno si libera delle foglie secche, per esempio, per dare la possibilità alle nuove di crescere e svilupparsi.
E noi esseri umani? Agiamo analogamente in conformità a una logica dettata dalla natura oppure seguiamo la sola ragione e/o i sentimenti più nobili insegnati e tramandati dalla cultura, dalla civiltà?
Questo il dilemma del protagonista di Antichrist, lungometraggio dalla regia introspettiva e cruda firmata da un sempre più irriverente e intelligentemente provocatorio Lars Von Trier.
Psicoanalista felicemente coniugato a una donna fragile, insicura, instabile, ossessionata dalla fobia della solitudine al punto da mettere al loro piccolo figlio le scarpe in senso invertito in modo da ostacolare la libertà motoria del bambino.
I piedi, le gambe sono l’ossessione della donna: legarli, renderli inabili al movimento, loro naturale funzione, in modo che le persone accanto a lei, non potendosi muovere, non possano mai abbandonarla. La donna agisce contro la natura delle cose: la natura ci ha dato gambe e piedi per muoverci, spostarci, “volare”… Ma la donna, seguendo la sua ”ragione”, la sua “logica”, decide di ostacolare la natura.
Dopo la morte improvvisa del bambino, loro unico figlio, l’instabile madre precipita in una follia dovuta a sensi di colpa incontrollabili e forse inconsapevoli che la inducono, dapprima, a volere continui rapporti sessuali con il marito e poi a perseguitare lo stesso con continui atti di violenza volti a renderlo immobile, paralizzato e, dunque, incapace di muoversi e di abbandonarla.
Ritorna ossessivo il tema dell’immobilità: mentre in natura tutto ”scorre”, la donna tenta disperatamente di fermare tutto, di rendere tutto immobile come in una foto.
Di fortissimo impatto visivo, soprattutto psicologico, la scena in cui la donna, dopo aver stordito il marito, gli immobilizza una gamba inchiodando un ginocchio con viti e bulloni.
Dall’altro lato abbiamo un uomo che assiste incredulo alla follia della donna che ama, convinto fino all’ultimo della bontà e della razionalità dell’animo umano, nella capacità di scegliere per il bene; convinto, quindi, di poter salvare la moglie attraverso la ragione e la sua psicoanalisi.
Bellissima e notevole la scena che dà l’input al film: il protagonista che guarda con disprezzo e biasimo una bestia che, affamata, divora la sua preda, un animale più piccolo.
Questa sembra la logica dell’uomo: tu commetti il male uccidendo un altro piccolo animale, seppur per fame; tu sei un essere inferiore che non può scegliere poiché non dotato di razionalità e, pertanto, tu meriti solo il mio disprezzo in quanto io sono a te superiore, io posso scegliere e scelgo il bene!
Ma siamo sicuri che agire secondo ragione significhi non seguire la natura con i suoi ritmi e le sue implicite leggi?
Posto che, a mio avviso, come già sosteneva Rousseau, l’essere umano nasce né buono né cattivo, ma agisce in conformità alle situazioni che la società gli presenta, pur sempre vero che tutti, sostenitori o meno della teoria evoluzionista piuttosto che del creazionismo, nasciamo con istinti quali fame, sete, sonno, istinto sessuale e istinto di conservazione.
Ora, se qualcuno o qualcosa minaccia la mia stessa vita, perché agire secondo il mio istinto naturale che, inducendomi all’autoconservazione, potrebbe indurmi a commettere azioni ritenute illegali quali l’omicidio, dovrebbe essere meno razionale che scegliere ciò che per la società è bene, cioè il non omicidio?
Se qualcuno tenta di uccidermi è più razionale seguire il mio istinto e uccidere il mio aggressore oppure agire secondo l’etica comune e non ucciderlo, rischiando così di morire?
L’albero abbandona le foglie e i rami secchi che comprometterebbero la sua crescita sana e la sua sopravvivenza; il leone uccide l’agnello per non morire di fame; perché l’essere umano dovrebbe soccombere in virtù di un’etica costruita?
L’animale non uccide per divertimento, per gelosia, per ripicca; l’animale non commette stupro; l’essere umano, talvolta, compie queste brutalità e questo sì che è irrazionale, ingiustificato e deve essere punito.
Ma punire la selezione naturale è ingiustificato, assurdo e illogico: siamo nati con istinti e dobbiamo prenderne atto e riconoscere che sono funzionali alla vita!
Il finale è di chiara impronta darwiniana: per quanto innamorato, il protagonista prende atto del suo naturale istinto di sopravvivenza e secondo una chiara logica evoluzionista mors tua vita mea uccide la moglie per non essere a sua volta ucciso dalla medesima.
A quel punto ricompare lo sfondo che aveva segnato l’inizio del film. Il regno animale con tutte le sue specie si riunisce a cerchio in una sorta di armonia composta e prestabilita da una logica intrinseca: l’uomo guarda questa scena, ma non più con disprezzo, bensì con uno sguardo solidale e complice a coloro che ora, finalmente, riconosce come suoi simili.
Che il mondo sia stato creato o no, che il creatore sia un Dio buono o un Antichrist, la natura ha leggi sue proprie, ha una logica ferrea e razionale a cui, per certi aspetti, siamo tutti sottomessi!
Questo il messaggio che Von Trier, in perfetto accordo con Darwin, vuole lasciarci.