La percezione e la psicologia della forma hanno un influenza e un legame con la pittura. Il cinema, la pittura, la musica nessun ramo artistico è una cosa a sé ma sono tutti frammenti che si ricongiungono tra loro. Il vero artista è completo, ovvero poliedrico e David Lynch ai tempi nostri con i suoi film, le sue composizioni, le sue mostre pittoriche lo ha dimostrato.
David Lynch è uno degli artisti cinematografici più importanti degli ultimi vent'anni, autore di film che sono entrati nella storia del cinema e che hanno sempre provocato infuocati dibattiti tra i cinefili. Sin dall'esordio con Eraserhead, sino all'ultimo, per molti spiazzante, ma incredibilmente lynchiano The Straight Story che vorremmo ricordare col suo titolo originale piuttosto che con quello italiano su cui sospendiamo il giudizio.
Adesso aspettiamo di vedere se Mulholland Drive, progetto da anni accarezzato dal regista, prima come serie TV, poi come prodotto cinematografico, vedrà finalmente la luce. Intanto, Cinema Studio ha voluto dedicare al grande David uno speciale in cui si analizzano varie fasi del lavoro e del suo processo creativo. Alla scoperta di una chiave di lettura per comprendere o vivere al massimo dell’incomprensibile film e deliri del regista americano, tanti finora sono stati i visitatori dell’esposizione, qualcuno nella speranza di trovare nuovi spunti per “leggere e intellegere” le opere visionarie di Lynch e qualche altro, semplicemente, per abbandonarsi ulteriormente a impulsi visivi, sonori e tattili che solo un artista così poliedrico può regalare.
Nessuna volontà di ricevere catalogazioni, il buon David non si smentisce: niente date, niente indicazioni di spazio o di luogo, solo forme plastiche organiche, forme confuse e sfocate, lettere sovrapposte, parole sconnesse, fumetti, bozze e bozzetti, foto morbose, spazi abitabili senza prospettiva, scarpe (immancabili), suoni, immagini, installazioni… per una rara complessità di sensazioni che si mischiano nella mente dello spettatore-visitatore.
Piani di conoscenza che si intrecciano e confondono, fino a rivelarsi totalmente vani se l’intenzione è quella di penetrare la mente e l’opera di David Lynch per dargli una categoria, una classificazione, un nome.
Ancora una volta Lynch gioca con i sensi dello spettatore, colpendolo a tradimento, lasciandolo a bocca aperta con nessun tassello in più per ricostruire il mosaico.
La strada verso l’uscita dal labirinto rimane introvabile, fatica inutile per chi voglia cercare un filo di Arianna, una risposta, un piano di realtà, una leggibilità minimamente chiara o lineare.
L'attrazione verso il basso (piani obliqui, dove lo sguardo scivola verso i bordi, o nei solchi del terreno, ripresi dall'alto o da terra, che premono verso l'esterno/interno dell'immagine, schiacciando lo spettatore e togliendogli il respiro) coincide con quella verso il buio. L'impossibilità asfittica di movimento, cercata con schemi compositivi caotici, intricati e senza sbocchi, vere e proprie trappole per l'occhio, si sposa con una continua tensione verso l'oscurità. Non c'è lotta tra luce e buio. Nelle immagini di Lynch l'oscurità ha già vinto, e pervade ogni cosa, anche la stessa luce. Non che le sue fotografie siano sempre scure, o prevalentemente scure, ma c'è in esse, sempre, una sorta di "oscurità diffusa", o un nodo di oscurità che sembra ingoiare la luce, come un buco nero. Allo stesso modo c'è sempre una sorta di entropia, anche nelle sue fotografie più studiate e geometrizzanti: qualcosa che assimila forma e assenza di forma, un germe di malattia, una piccola imperfezione che sfalda il nitore di una composizione rigorosa erodendola dall'interno (o, al contrario, un rifugio di perfetta armonia nascosto nel caos).
La coazione a ripetere pulsioni negative, che prende forma nell'attrazione maniacale verso il buio e l'informe, trova il suo parallelo, altrettanto lucidamente maniacale, nella tensione verso un ordine che è come il macabro residuo di una struttura ormai sfatta, ridotta ad un esile scheletro basato su regole elementari (assemblaggio di parti disomogenee, ripetizioni e variazioni su tema, stratificazione di interventi censori reiterati).
Nelle fotografie di Lynch l'attrazione verso forme iterative e meccanismi di accumulazione seriale di oggetti o reperti organici coincide spesso col principio, opposto, del sezionamento, della divisione in più parti di un insieme continuo.
I suoi film con atmosfere particolari,suggeriscono spunti per la creazione di opere d’arte e dipinti e possono accompagnare il cammino artistico degli studenti-pittori emergenti.
Il film Inland Empire, suggerisce idee relative a paesaggi notturni, lugubri, atmosfere cupe e spettrali, molto accattivanti che possono rappresentare le paure dell’inconscio su tela.
Veramente allucinante. Questo film proietta lo spettatore in un flusso di coscienza per 172 minuti rendendolo assolutamente inerme: nessuna caratterizzazione dei personaggi, dei luoghi e pochissimi nomi. Tutto ciò lascia lo spettatore allucinato... è molto significativo: troppo lungo ma significativo.
Un perfetto flusso di coscienza che ti conduce nei meandri più remoti e scuri della tua mente. Film complesso ma accattivante, le musiche sono straordinarie, totalmente fedeli al Lynch precedente, totalmente sconvolgenti.
Il film Una storia vera invece ispira e suggerisce paesaggi campestri, con spighe di grano e colori nitidi, luminosi in quanto è un film molto commovente e ambientato in campagna.
Le arti visive sono proprio una parte integrante della pittura e il compito dell’artista e sapere cogliere e rendere visibile tutto questo tramite la sua percezione e gestualità.