Finalmente, La terza madre. Presentato in versione integrale al Festival del Cinema di Toronto, e poi al Festival di Roma, nella versione scorciata che circola dalla notte di Halloween nelle sale italiane, il nuovo lavoro di Dario Argento conclude, trent’anni dopo, la trilogia delle madri iniziata con Suspiria (1977) e proseguita con Inferno (1980). Fare un confronto diretto sarebbe semplice, ma altrettanto ingiusto, e non è questa la linea critica che vogliamo sposare. Sicuramente perché il confronto non reggerebbe. Suspiria e Inferno godono di uno stato di grazia che raramente il regista ha poi ritrovato. Ma, ed è altrettanto importante, godono anche del privilegio della distanza temporale.
Complice una maggiore libertà creativa – inizialmente il progetto doveva essere una mega produzione italo-americana, poi parte dei capitali è scomparsa, ma la casa di produzione ha comunque concesso al regista un margine molto ampio in possibilità creativa – Argento ha sicuramente realizzato il suo miglior film da dieci anni a questa parte. Per atmosfera. Per compattezza del plot. Per la capacità di spaventare. Per il sottile filo ironico che lo percorre come una nervatura. Per l’anima horror-gore che ha il coraggio di mostrare.
Fuori dal cimitero di Viterbo viene ritrovata un’urna: contiene tre statuette raffiguranti demoni, ed una tunica. La sua apertura scatena una incredibile spirale di violenza, che trasforma Roma in un inferno terreno. Sarah Mandi, protagonista del film, compirà un viaggio alla (ri)scoperta delle proprie radici, fino all’ultimo duello con la più tremenda delle Madri: Mater Lachrimarum…
Ci pare strano dover leggere ancora recensioni nelle quali si rimprovera ad Argento la mancanza di una trama “forte”, o la presenza di buchi nella sceneggiatura. Lo abbiamo già ampiamente sottolineato nei nostri due precedenti interventi, ai quali rimandiamo: si confonde un marchio, una cifra stilistica, con una pecca. Perché il cinema di Argento è sempre stato strutturato su un regime di narrazione debole, da alcuni definito, ma sbrigativamente, “disinteresse per la trama”. La verità è che la “non trama” costituisce la normalità narrativa per il regista. Specialmente nella trilogia oggi portata a conclusione: in quanto Susy, Mark, e adesso Sarah Mandi, non agiscono, ma sono agiti dalle vicende. Non ne sono protagonisti, ma spettatori. O perlomeno, protagonisti loro malgrado. Inferno in particolare, ed adesso il nuovo lavoro, sono una sorta di tunnel dell’orrore, che il personaggio osserva, duplicando dentro al film il ruolo “esterno” dello spettatore. Ed è con quest’ottica che le tre opere vanno analizzate. Anche nei dialoghi, spesso vicini ad un nonsense che è la trasposizione vocale del non strutturato aspetto visivo. O nella recitazione: che si può si definire frettolosamente “inespressiva”, ma rischiando di non apprezzarne le motivazioni sottese.
Ci pare altrettanto assurdo che venga catalogato come sbrigativo o ridicolo il finale di Terza Madre: perché lo stesso si dovrebbe (o potrebbe) dire della conclusione di entrambi i capitoli precedenti: l’uccisione della Strega Nera da parte di Susy in Suspiria, l’apparizione della Morte, e la fuga di Mark in Inferno. Ed è interessante rileggere le recensioni negative uscite nel 1977 e nel 1980, poi ritrattate dagli stessi autori, laddove l’Opera ha superato in importanza la propria critica. Proprio perché valutavano negativamente i medesimi aspetti.
Alla base stanno vizi critici e spettatoriali, quelli che continuano a bollare come un “sottogenere” l’Horror, quelli che portano ad esaltare opere non così entusiasmanti, vedi i vari Hostel, The Grudge, Captivity…., semplicemente perché americane.
Il finale di Terza Madre, intanto, cita il finale degli altri due film: l’uscita dalla dimora stregata, il sorriso sul volto del “protagonista suo malgrado”. E contemporaneamente ne costituisce il contraltare, la catarsi finale nel segno dell’acqua, dopo due “non conclusioni” nel fuoco. E finalmente si emerge dal sottosuolo, e se ne esce in due. Ovvero: dopo la triplice caduta, la discesa nel regno degli inferi, quello della Caduta Prima, di Lucifero, si risale definitivamente in superficie. Con la speranza che una nuova “coppia” può portare.
Molte sono le rime interne, i momenti che legano Terza Madre al dittico precedente. Ce ne sono di evidenti (la madre di Sara uccisa dalla strega Nera - Mater Suspiriorum di Friburgo, la lettura del libro di Varelli sulle Tre Madri, custodito in una cassaforte, forse perché ultimo esemplare, in italiano, del libro mostrato all’inizio di Inferno). E ce ne sono di celate: la restauratrice che all’inizio del film si punge un dito, come il personaggio di Sara (un’altra Sara) in Inferno, prima di essere uccisa. Ed il tassista-Caronte che, come nei film precedenti, accompagna la protagonista verso l’ignoto. In più, le rime che legano questo ad altri film della produzione del regista: l’occhio che spunta dal buio, come in Profondo Rosso; l’immersione nella vasca di cadaveri, come in Phenomena.
Certo, Terza Madre non ha la potenza visiva dei film precedenti. E non troviamo più la variegata gamma di acrobazie della macchina da presa che affascinavano in Suspiria, complice l’ottimo Luciano Tovoli. Ma se questo dipende anche da pellicole che adesso non si commerciano più, la fotografia in Terza Madre è degna di nota, e la Roma caotica e folle descritta è gelida e gotica al punto giusto. Ed il piano sequenza che introduce il finale del film, o la panoramica “vibrante” su Roma, marmorea e tremenda, non mostrano certo un regista in declino. E, aprendo una piccola parentesi sulla colonna sonora, se lo choc della partitura dei Goblin in Suspiria è irraggiungibile, la nuova scrittura di Simonetti regge bene il confronto con Inferno. Magari la vera pecca del film sono gli effetti di computer grafica: certe inquadrature, la chiesa che brucia, Sarah guidata dallo spirito della madre morta, non reggono. Ma Sergio Stivaletti, ottimo per make-up, è sempre stato carente sotto tale aspetto.
In breve, la nostra opinione è che Terza Madre sia un buon lavoro. Che ci lascia ben sperare su un director’s cut da vedere. E su una nuova stagione “d’argento” del cinema italiano. E ci sbilanciamo in un azzardo: questo film diverrà un piccolo classico del nuovo horror italiano. Purtroppo ultimamente genere poco frequentato