"Rarefatto nei dialoghi e nella recitazione, poetico nella raffigurazione quasi prosaica della vita nello Spazio, delirante e lento nei tempi d’azione, il film si rivelò subito straordinariamente innovativo e rivoluzionario tanto da non poter essere quasi recepito nella sua pienezza e nelle sue implicazioni da coloro che lo videro alla Prima del 1968.
Scientificamente perfetto, razionale, freddo e asettico nella puntigliosità con cui è descritta la vita dell’uomo nello spazio, diventa un pezzo unico di “manifestazione di un Mistero totale” nel finale, sbarazzandosi di ogni comune punto di riferimento umano.
Il proposito stilistico del regista è quello di sperimentare in chiave narrativa il potere dell’immagine e l’uso degli effetti speciali visivi e sonori, inaugurando, in pratica, una nuova concezione del cinema basato sul rapporto diretto tra narrazione e percezione: Non è un caso, quindi, che il film sia per più di due terzi muto. L’autore, infatti, più che narrare si dimostra preoccupato di "far vedere", di mostrare più che di raccontare.
Kubrick, in pratica, intende rivalutare la caratteristica principale del cinema, quella che lo differenzia dalle altre arti, il suo "specifico": la produzione di senso direttamente attraverso l’immagine, il cinema come una sinfonia visiva."