Accattone (1961)
"Alle prese col nuovo linguaggio, spinto anche « da una specie di rabbioso capriccio nei confronti di registi e produttori » e da « il desiderio di veder realizzati fatti, persone, scene » come immaginati durante la fase della scrittura, Pasolini saccheggia la storia dell’arte e la fa confluire nel magma cinematografico. E saccheggia anche la storia della musica.
Accattone si apre con il coro finale della "Passione secondo Matteo" di Bach, le cui note, cariche di quel profondo senso di morte che risuona sordo per tutto lo scorrere del film, introducono e accompagnano i titoli di testa, caratterizzati dalla stessa semplicità e austerità che qualifica lo stile di ripresa pasoliniano. I titoli di testa dei primi film del poeta di Casarsa rimandano al mondo letterario: infatti la grafica di presentazione utilizzata per il titolo, i nomi degli attori, del regista e tutti i partecipanti alla realizzazione dell’opera, rispecchia quella che troviamo all’interno di un volume; le dissolvenze accentuano poi la sensazione tattile del passaggio della carta tra le dita.
E, proprio come in un volume, la prima immagine è preceduta da una citazione introduttiva, nel caso di Accattone una citazione dantesca, diretto essudato del mondo letterario da cui Pasolini deriva e del quale fa indubbiamente parte. Ed è proprio una dissolvenza incrociata, pagina dopo pagina, ad immettere lo spettatore nel vivo della vicenda.
Un piano fisso e frontale presenta lo Scucchia, borgataro romano, prelevato da quel microcosmo che secoli prima aveva affascinato Caravaggio, faccia bruciata e mazzo di fiori tra le mani. Lo Scucchia, viso solcato dal sole rovente come calce e dalla fame, diffidente sorriso sdentato e sguardo acquoso, si rivolge ad una « batteria di sbragati sulle seggiolette cotte dal sole di un baretto della Maranella », intonando le prime parole di quel canto funebre che risuonerà per tutto il film: Ecco la fine del mondo!"
di Cristina Giorello [Visita la sua tesi »]
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Da una parte, una certa critica l’ha ritenuto un frutto della tarda stagione neorealista. Da un’altra parte,...»
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