"In American Psycho (Id., 2000) di Mary Harron nuovamente lo spettatore è messo di fronte a due dimensioni differenti: la realtà e una realtà apparente, che si scopre alla fine essere la terribile allucinazione di uno yuppie, cocainomane e schizofrenico, in costante gara con i colleghi per aggiudicarsi un tavolo nel miglior locale della città, per esibire l'ultima cravatta del più noto stilista o il biglietto da visita più chic.
Ma nel film l'allucinazione e la realtà non sono nettamente distinti. Anzi, è quasi impossibile comprendere quali siano i momenti reali e quali le visioni del protagonista ed effettuare una netta distinzione. Senza rispettare le regole classiche di rappresentazione del sogno e dell'allucinazione, la regista confonde perfettamente le due dimensioni. Non ci sono dissolvenze, né flou, né contorni sfumati o passaggi al bianconero che possano far percepire allo spettatore che è in atto un cambiamento.
La fotografia non muta: è proprio questo che lascia il pubblico sconcertato. Lo spettatore è portato a credere, sia attraverso la narrazione che attraverso la regia, che il protagonista stia veramente compiendo quegli omicidi. Per il pubblico Patrick Bateman (Christian Bale), il protagonista, è un serial killer. Il giudizio dello spettatore è stabilito, ancora prima della metà del film.
Ma quando viene rivelato che non esiste alcun cadavere e che l'uomo che crede di avere visto uccidere e tagliare a pezzi è ancora vivo, lo spettatore è costretto a rivedere tutta la teoria che ha formulato sul film.
Non si trova più dunque di fronte ad un giovane schizofrenico che taglia a pezzi colleghi e prostitute, ma ad un giovane schizofrenico che vede se stesso tagliare a pezzi colleghi e prostitute."