"Grifi sapeva che l’autenticità era la cosa più rivoluzionaria di tutte, per questo la inseguiva con caparbietà, girando a volte quantità inusitate di materiale in attesa che accadesse qualcosa di spiazzante, che nessun copione poteva prevedere.
Il suo capolavoro si intitola Anna (id., Alberto Grifi, 1975), un film che testimonia il rifiuto di attori e maestranze di sottomettersi all’autorità della regia e della sceneggiatura.
Anna racconta le disavventure di una tossicomane romana minorenne, incinta, pedinata secondo il dogma zavattiniano di cui Grifi è stato forse l’unico interprete letterale nella storia del cinema.
Il film, realizzato con il primo videoregistratore portatile “open” da un quarto di pollice arrivato in Italia, è uno degli esperimenti di film-verità più arrischiati per via dell’intreccio tra realtà e fiction e per l’ambiguità del rapporto spettatori - regista - personaggio."