"Elephant è un film di spazi. Spazi che possono essere dilatati oppure incredibilmente ridotti quasi sino a raggiungere le dimensioni di una cella.
Sono spazi comuni, ad esempio. Grandi prati verdi, monotoni, ordinati, in cui piccoli gruppi di ragazzi si allena, gioca, scambia opinioni e resoconti. È una similitudine. L'immagine è fissa. La macchina da presa non si muove. Rimane inchiodata al movimento, al passaggio. Ma al passaggio di cosa? Al passaggio di uno dei non luoghi utilizzati da Van Sant: il corpo.
Durante tutto lo scorrere della pellicola, si dipanano davanti agli occhi degli spettatori personaggi sempre perfetti nella loro atipica fisicità. Ragazzi e ragazze plastificati nella loro perfezione da Barbie in carne ed ossa. Look sempre curato, immagine vincente, visione omogeneizzata di uno stereotipo sociale incancrenito.
«In una società così, resta solo la lusinga del corpo. Il miraggio del corpo è ovunque grandissimo. È il solo oggetto sul quale concentrarsi, come oggetto di smodate attenzioni, nella continua ossessione della decadenza e della cattiva prestazione, segno e anticipazione della morte». Ovunque si fa sport, si corre, ci si allena, ci si stanca, si vomita energia in una corsa infinita alla perfezione.
Il corpo come elemento principale, prima di tutto. Conseguenza di una cultura anoressica. Brittany, Jordan e Nicole rigurgitano in bagno tutto ciò che mangiano. Sono terrorizzate dalle salse. Grammi di grassi che devono esser rifiutati: non si può ingrassare neppure di un etto.
Passano il loro tempo a farsi belle, fra trucchi e gossip: costerà loro la vita. Cultura che rifiuta la mancanza. È forse questo uno dei messaggi più cupi che Van Sant lancia.
Il corpo, il nostro corpo, fonte quotidiana di gioie e dolori, non è una salvezza, ma un modo dolce di evitarla."