Il casting è l’arte e la scienza di scegliere le persone, in base alle qualità artistiche, per la realizzazione di un progetto. Le persone scelte attraverso i casting diventano spesso per la società un modello da ammirare, da emulare. La sinergia prodotto – modello – immagine è molto forte e lo è soprattutto nel campo della moda, dove il processo di imitazione coinvolge la società di massa che a sua volta sceglie i propri abiti e modifica il suo aspetto per rendere la sua immagine speculare o quanto meno simile ai modelli proposti dalle immagine che giungono dai mezzi di comunicazione.
Nella storia della moda, gli stili e le tendenze seguiranno sempre lo stesso iter: acquisire un’identità attraverso il corpo delle dive, per entrare poi a far parte del quotidiano della donna comune.
E’ questo il motivo per cui la diva, o la modella del momento, diventa lo specchio della società e il suo stile si colloca a metà strada tra il personaggio e la persona.
Il cinema e lo spettacolo in generale sono una sorta di macchina che produce sensazioni e sentimenti filtrati dall’immaginario quotidiano, a sua volta abitato da corpi prodotti dalla comunicazione. Prima la danza e il teatro, poi il cinema e la televisione hanno offerto e continuano ad offrire modelli che la società di massa rende reali attraverso il processo di imitazione.
Il pubblico agisce, si veste e si comporta in funzione di ciò che viene proposto dallo star system: lo stilista lancia una moda, la diva personalizza lo stile, il pubblico prende alla lettera ciò che vede. Ogni epoca propone le proprie icone, spesso rivoluzionarie, altre volte “miti negativi” che nonostante ciò diventano modelli e punti di riferimento per il pubblico. Infatti è nel secolo scorso che la moda ha iniziato a proporre l’idea di una donna, con il suo stile di vita, le sue ambizioni ed una sua identità indipendente. Ogni mutazione del “comportamento vestiario” ha rappresentato una modificazione della società. La moda e l’abbigliamento sono infatti il modo migliore attraverso cui dichiarare la propria appartenenza ad un gruppo. Si pensi ai “sans coulotte” nell’epoca della Rivoluzione Francese; ai Punk londinesi che con il loro abbigliamento estremo, spesso provocatorio denunciavano il rifiuto di una società che ignorava le problematiche degli outsider; ai Giunge che interpretarono un periodo di disagio sociale dato dalla crisi economica; ed ancora si pensi ai figli dei fiori oche con i loro capelli lunghi, vesti colorate e pantaloni a zampa di elefante infrangevano i tabù della diversità, tentando di portare un messaggio di pace.
Ma, oltre ad essere lo specchio della società e l’espediente attraverso cui dichiarare la propria appartenenza ad un’epoca storica o ad una “corrente di pensiero”, la moda è la “facciata” del processo di emancipazione della donna e di liberalizzazione del corpo femminile. Fino alla fine dell’Ottocento, l’abbigliamento femminile aveva una funzione coercitiva che ha costretto e piegato il corpo delle donne per adeguarsi ad un modello di femminilità richiesta dalla società.
La donna viveva in una condizione di relegata, non aveva la possibilità di esprimere la propria personalità e la sua unica funzione era quella procreatrice.
Ma nel secolo scorso, dalle suffragette fino al movimento femminista, è iniziato concretamente un lungo cammino verso la parità di diritti.
La donna voleva entrare nel mondo del lavoro e l’abbigliamento doveva assecondare e rispondere a questa nuova esigenza, voleva gestire i suoi soldi quindi la moda doveva iniziare a proporre uno stile che piacesse a Lei. La donna voleva rubare dal grande schermo l’immagine femminile forte e determinata incarnata dalle dive del cinema; voleva indossare lo stesso abito di Marlene Dietrich o di Greta Garbo, perché questo rappresentava la libertà di espressione. La donna contemporanea doveva cercare nuovi modelli a cui ispirarsi, per la sua trasformazione, e il cinema, gli stilisti, l’arte e la società del pensiero le ha fornito icone a cui riferirsi. L’abito quindi, non è solo un vestito del corpo ma anche della mente, le indossatrici ed il loro casting determinano e delineano lo specchio in cui si riflette la nuova donna. Perché parliamo di casting in un’epoca in cui il casting non esisteva? Il casting è esistito indirettamente anche nei primi decenni del novecento attraverso il processo di identificazione e di imitazione di modelli femminili a cui affidare la propria immagine.
Se Marlene Dietrich indossava abiti maschili e androgini per esternare la sua ribellione nei confronti dell’immagine femminile ostentata dai regimi totalitari, le donne più emancipate la consideravano un modello da imitare e lo stesso si è verificato negli anni seguenti con le attrici o le modelle in voga in un determinato periodo storico. In principio la scelta delle persone/personaggi “in voga” non si chiamava casting, ma rispetto ad oggi il risultato non è cambiato: i mezzi di comunicazione di massa lanciano modelli, l’uomo comune li imita.