Vi proponiamo di seguito l’intervista al regista Roberto Andò realizzata dalla nostra autrice Chiara Giacobelli in occasione della XXVI edizione del Festival Valdarno Cinema.

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Il Valdarno Cinema Fedic ha affidato al regista palermitano Roberto Andò il compito di presiedere la Giuria dell’ultima edizione del Festival, tenutosi a San Giovanni Valdarno dal 22 al 26 aprile.
Ad affiancarlo nella scelta dei film da premiare la produttrice Floria Aprea, il regista Antonello De Leo, la documentarista Francesca Del Sette e l’attrice Tiziana Lodato.
In onore del Presidente della Giuria sabato 26 aprile, nel pomeriggio, è stato proiettato il suo ultimo film “Viaggio segreto”, interpretato tra gli altri da Marco Baliani, recente protagonista dell’apprezzato spettacolo “La notte delle lucciole”, che Andò ha messo in scena al Teatro India di Roma.
"E’ un grande piacere per me assolvere al compito di Presidente della Giuria, affidatomi da un Festival che riesce sempre a far incontrare in maniera produttiva le nuove generazioni con quelle più esperte".

Da regista affermato quale Lei è, può dirci come si diventa un bravo regista e quale strada i giovani interessati a questo mestiere dovrebbero intraprendere?
"Diciamo subito che oggi scegliere di fare il regista significa accettare di correre un grosso rischio, in un mercato sempre più duro. Il mio consiglio può essere quello di mostrarsi elastici riuscendo tuttavia a mantenere un proprio stile, una personalità ben definita. La difficoltà più grande consiste proprio nell’individuare e portare avanti nel tempo un’identità propria".

Le sue opere mostrano un certo interesse per il tema del passato e della ricerca interiore.
"Il viaggio nell’interiorità è fondamentale, serve per imparare a relazionarsi con gli altri, a non guardare soltanto verso di sé".

Lei ha una lunga esperienza teatrale alle spalle. Un’eccezione nel cinema italiano.
"E’ vero, a parte Visconti, Zeffirelli e pochi altri il cinema in Italia è sempre stato un mondo scisso rispetto al teatro. La causa di ciò risiede nell’artificiosità teatrale, molto più complicata rispetto ad altri Paesi. Sarebbe importante invece trovare un punto di accordo tra cinema e teatro, come accade ad esempio in America".

Ha anche esplorato generi, quali il giallo e il thriller, che i cineasti italiani tendono ad evitare. Come mai?
"Purtroppo in Italia il Cattolicesimo ha annacquato in parte il rapporto della società con il male. Dal mio punto di vista invece si può riuscire a fare bene del cinema e a comunicare qualcosa anche attraverso il racconto delle ombre, del male. Lo sanno bene scrittori come Gadda e Sciascia".

A proposito di letteratura, può fare un punto della situazione letteraria italiana?
"Non mi sento di parlare di morte del romanzo, come molti fanno. Al contrario, ritengo che ci siano in circolazione scrittori interessanti, quali ad esempio Ammaniti e Del Giudice. La mia impressione è quella che ci sia una rinnovata voglia di raccontare".

Come mai i film di Moccia riscuotono tanto successo?
"Il cinema è riuscito negli ultimi anni ad insegnare il cinismo e la semplificazione. Personalmente non sono contrario a fenomeni popolari del genere, ma è importante che il cinema italiano non si riduca soltanto a questo. E’ necessario che ci sia una differenziazione tale da permettere allo spettatore di scegliere, di spaziare tra i generi e i prodotti".

Lei è Siciliano. Cosa può dirci della sua terra in momenti difficili come questo?
"Purtroppo non ho molte speranze, non mi sembra che sia neppure iniziato un processo di vera civilizzazione. Occorrerebbe una maggiore libertà di pensiero e discussioni più aperte".

Progetti?
"Sto scrivendo un altro film, del quale non posso rivelare ancora nulla. E poi molti progetti teatrali, tra i quali ”Macbeth”. Resta viva la mia passione per il cinema come anche per il teatro".