"Il terzo testo a mio avviso fondamentale per capire la situazione attuale è "Cinema gay, l’ennesimo genere" di Roberto Schinardi (è un’indagine sulle più recenti modalità di narrazione che sembrano andare incontro a modelli di espressione più edulcorata, più adatta al grande pubblico e rinunciare parzialmente alla trasgressione e alla provocazione tipiche della prima militanza di questo gene di cinema. Inoltre, Schinardi, si interroga sul fatto se sia positivo che il cinema gay si sia “chiuso” in un genere cinematografico, nel quale proprio i criteri specifici concorrono a definirlo come tale (basti pensare a tutta una serie di autori specializzati, ai festival, alla cultura di riferimento). Il titolo del libro è lo spunto principale del presente elaborato, utile a capire quanto le tematiche di gender nel cinema e nella televisione siano diventate così onnipresenti da riuscire a ricrearsi un genere unico che le rappresenti. Ma quanto e come possiamo trovare positivo racchiudere le tematiche di gender in un nuovo genere cinematografico: il “cinema gay” comprensivo, tra l’altro, di altri infiniti sottogeneri (cinema lesbico, cinema queer, cinema trans..)? A mio parere l’errore sta principalmente qui. Se il cinema a tematiche di gender ha dovuto combattere per uscire dall’anonimato, se si è riusciti ad uscire da una cinematografia queer relegata in festival ma che non vedeva quasi mai la luce negli schermi cinematografici; se, per vari fattori, sociali, culturali, politici e industriali, le tematiche di gender sono riuscite ad entrare nelle case della popolazione media e sugli schermi di tutto il mondo, popolati da qualsiasi tipo di spettatore, perché allora chiudersi un’altra volta nel proprio, sicuramente realistico, ma piccolo mondo, anziché uscire, mescolandosi a tutti gli altri generi, rendendosi evidenti per quello che realmente sono: delle tematiche normali e uguali a tutte le altre tematiche rappresentabili?" (Brano tratto dalla tesi di Roberta Todaro)