"Faccia a uovo, sorriso a fetta d’anguria, corporatura minuta, ricciolo impomatato sulla fronte per quanto riguarda le fattezze espressive; poi carattere docile, ingenuo, espressione candida, e ancora buono, solidale con gli altri, soprattutto con i poveri e gli indifesi come lui, infine surreale e lunare, assurdo e nonlogico.
Per chiudere il cerchio degli interventi che ho citato, tornerei su una acuta osservazione di Arturo Brachetti che non ho ritrovato in nessun altro; per il trasformista, tra l’altro anch’egli piemontese, 'Macario si ispirava anche a personaggi tipici del circo come il clown bianco e l’auguste e quindi non aveva paura a chiudersi in se stesso per un momento e fare il vagabondo che raccoglie le stelle, l’omino che spazza la luce che diventa sempre più piccola fino a nasconderla sotto il tappeto, queste piccole cose toccanti che il pubblico apprezza sempre soprattutto in uno spettacolo comico.
Anche Totò faceva così ed anche altri di quella generazione, adesso molto meno. […] Quando il comico sfiora il poetico, allora è molto più toccante perché il comico è servito per affascinarti, per attaccarti al personaggio, ed il poetico è un po’ come se tu riuscissi ad entrare per un momento nella porticina della sua anima, ci guardi dentro e poi si ritorna a divertire.'"