"Il problema del rapporto fra istruzione e occupazione era evidente: se infatti alcune categorie di lavoratrici, come quelle anziane e quelle addette all’agricoltura scontavano “un vero e proprio ritardo storico nell’accesso all’istruzione” che si traduceva “in livelli di istruzione ancora più bassi di quelli della forza lavoro maschile”, altre, in particolare le giovani donne, riuscivano ad accedere all’istruzione superiore e universitaria, rimanendo però confinate “nei tipici ghetti scolastici femminili: le magistrali, gli istituti professionali femminili, le facoltà universitarie di Lettere e Magistero”.
Si trattava di una situazione di svantaggio rispetto alla forza lavoro maschile: le carriere eccezionali erano alla portata di poche privilegiate, mentre per tutte le altre le alternative realisticamente disponibili sul mercato erano inadeguate alle loro aspirazioni a ricoprire nuovi ruoli. Questo spiega l’entusiasmo col quale vennero accolte le cosiddette “nuove professioni” femminili – la hostess, la segretaria di produzione, l’estetista, l’arredatrice, l’accompagnatrice turistica, l’interprete.
Queste “nuove” professioni rispondevano a un gran bisogno di inventività e di nuovi spazi di espressione delle proprie capacità. La caratteristica comune delle professioni femminili nuove (incluso l’ampio gruppo delle figure professionali nate con mass media) era l’importanza che vi assumeva per la prima volta il corpo."