L'elefante nel salotto. L'americano ci convive senza accorgersene, mentre la società sprofonda lentamente con i suoi supposti valori. Elephant è una critica di stile, di immagini, di inquadrature. Uno specchio mortifero dell'adolescenza incapace di reagire agli stereotipi e che si lascia stritolare in una presa che porta all'uniformarsi come pedine o porta all'esplosione di violenza. Il riferimento è anche al massacro della Columbine High Scchool, che ha scioccato gli Stati Uniti. Lo spiega in modo esauriente Cristiano Anania nella sua tesi.

"Ciò che emerge da una complessa visione d'insieme di Elephant, è la volontà, da parte del regista Gus Van Sant, di costruire ed uniformare un articolato mosaico sociale attraverso il quale evidenziare, non “spiegare”, le ragioni, e le conseguenze, del decadimento morale americano.
Composto di tanti piccoli tasselli, il mosaico, prende forma e colore senza che lo spettatore più avveduto se ne accorga. È un processo di ricerca dell'individuo, dell'individuale. «L'ascesa dell'individualità è stata la spia del progressivo indebolimento – per disintegrazione o distruzione – della fitta rete di legami sociali che avviluppava strettamente la totalità delle attività della vita».
Elephant non è una risposta. Non vuole esserlo.
Appare piuttosto un‟indagine in cui la conclusione spetta direttamente allo spettatore. Il mosaico prende forma: famiglia, diritti sociali, ideali, emarginazione, amore, amicizia, cultura; tutto viene negato. Il problema è l'individuo."