Uno dei film più sorprendenti di Kazan, un dramma intenso che si snoda attraverso la psiche del protagonista, che percorre a ritroso la sua vita e perde la sicurezza e la determinazione che lo aveva reso un pubblicitario di successo.
Girato in modo impeccabile, Il compromesso è un film di psiacanalisi senza che questa venga mai nominata; non ci sono feticci, monologhi estenuanti sui traumi infantili o forzature a cui ci aveva abituato il cinema dei decenni appena precedenti. L'unico strumento è la memoria, il semplice ricordo, rivissuto in flashback o con il protagonista che si muove nel 'freeze' di una scena passata, interrogandosi e interrogando i personaggi immobili.
Eddie è un pubblicitario affermato, che, improvvisamente, decide di lanciarsi sotto un tir a bordo della sua cabrio; sopravvive, ma si chiude in se stesso rifiutandosi di tornare al lavoro. La sua crisi è dovuta alla fine della storia con l'amante, Gwen, una giovane collega che aveva sconvolto i suoi parametri e lo aveva costretto a riconsiderare la sua vita.
La rottura con Gwen spinge Eddie in un baratro di sensi di colpa e rassegnazione che si alterna a nevrosi; incapace di gestire il presente, l'uomo si perde nei ricordi dell'amore che ha lasciato sfuggire e della gioventù in balìa del carisma di un padre farneticante e violento che sognava per lui un futuro da commerciante.
I genitori sono ancora vivi, la madre sempre succube e il padre malato di mente. Eddie si arrabatta per riportare il padre a morire nella vecchia casa, mentre ricuce il rapporto con Gwen.
Una delle sequenze più surreali vede i due amanti convivere proprio in quella casa, con il padre ormai svanito che rimprovera il figlio di essere una delusione. Notevole drammaticità, costruita con un lavoro di luce in interni che ricorda il dramma tatrale; del resto stiamo parlando di Kazan.
Le sequenze in interni sono autentici incubi, con sagome che restano in ombra e il doppio vincente di Eddie che lo sprona a tornare un uomo senza scrupoli; spesso il protagonista si fa sorprendere nudo, non un caso, a palesare il suo distacco dall'immagine che prima rappresentava e a suggerire la rinuncia di Francesco d'Assisi o la follia del capofamiglia di Teorema.
Notevole nell'eleganza e nell'antitesi tra gli spazi aperti e la claustrofobia delle stanze in penombra, il film deve molto anche all'interpretazione sconvolgente di Kirk Douglas e alle sfumature drammatiche con le quali la Kerr e Faye Dunaway caratterizzano due personaggi così decisivi.
L'influenza del melodramma è evidente, soprattutto nella messa in scena delle sequenze di scontro verbale tra i personaggi, ma il coraggio di certe immagini e l'intelligenza con la quale è costruito l'intreccio rendono Il compromesso molto più attuale di quello che la data di uscita, il 1969, farebbe pensare.
Passato, presente e doppio convivono nella stessa inquadratura in un'opera di sperimentazione che a Kazan sicuramente faceva pensare agli esercizi dell'Actor's Studio. Quando Eddie cerca di scuotere il suo 'io' giovane nel salotto buio, i fari di una macchina illuminano la stanza e dall'auto scende frettoloso il suo doppio del recente passato, dicendo: "E' colpa del padre?! E' colpa della madre?! Ma cosa facciamo...Freud??!".
Spezzare il dramma con una freddura sulla psicanalisi in un film che in realtà è costruito su un'operazione autoimposta di terapia psicanalitica.
Una bella spallata a film come Marnie o Io ti salveròdei quali infatti Hitchcock non fu mai entusiasta. Se qualcosa non si può capire fino in fondo, meglio non parlarne esplicitamente.