L'ombra del dubbio (Shadow of a doubt, 1943)
Nel labirinto dell'anima

Alfred Hitchcock considerava L’ombra del dubbio uno dei suoi film più riusciti. A dominarlo è un ambiguo principio di seduzione e l’ossessione delle belle apparenze.
Charlie Oackley, come poi il chapliniano Monsieur Verdoux quattro anni dopo, irretisce e uccide ricche vedove. Non lo fa solo per denaro, ma come per adempiere a una missione morale contro esseri ritenuti superflui e parassitari. Sua nipote, che si chiama come lui, ne è neppure tanto segretamente innamorata. Lui è fascinoso, elegante, di belle maniere, un dandy indolente che fa girare la testa a tutte le donne che incontra, mentre la gioventù americana è a morire in guerra.
Charlie seduce persino gli spettatori con i suoi modi distinti e la faccia simpatica. Anche quando i suoi tratti si faranno più ambigui, rimane lui il centro d’attrazione degli sguardi (probabilmente perché non lo vediamo mai fisicamente uccidere nessuno, se non nel disturbante finale).
Parallelamente, gli occhi della giovane nipote (la tipica ragazza americana anni Quaranta veicolata dalla pubblicità) vengono aperti sul mostruoso passato dello zio per mezzo di un’altra seduzione: quella operata da un giovane poliziotto che vedrà confondersi i confini tra indagine professionale e vita privata. Sarà proprio la nipote che tanto amava lo zio a determinarne la tragica morte (si uccide ciò che più si ama).
Con la solita maestria, Hitchcock gioca sul tema delle apparenze, condendo del suo inconfondibile humour un thriller dominato dai volti angelici di Joseph Cotten e Theresa Wright, il demone e la sua vittima vendicatrice. Straordinario l’uso della colonna sonora da parte di Dimitri Tiomkin, con l’ossessivo valzer della "Vedova allegra" montato come un trascinante e pervasivo tema della colpa.
Strabilianti certi movimenti di macchina che schiacciano i personaggi, emblemi visivi di un cinema come creazione ideale nel quale il virtuosismo tecnico è lo specchio dei labirinti dell’anima, sezionati con innato senso dello spettacolo.
Peccato che il ridicolo doppiaggio italiano finisca per massacrare buona parte dei dialoghi.
Come tradizione, anche in questo film Hitchcock si riserva una comparsata: è il giocatore di bridge nel vagone ferroviario che mostra una scala di tredici picche.
di Davide Magnisi [Visita la sua tesi »] [Leggi i suoi articoli »]
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