A pochi mesi dall’uscita del precedente film (Prima ti sposo poi ti rovino), degli insolitamente prolifici fratelli Coen debuttano in uno dei “generi” attualmente più in voga a Hollywood: il remake. La preda è uno dei migliori film inglesi della gloriosa produzione Ealing: La signora omicidi (1955), con la regia di Alexander Mackendrick e Alec Guiness a fare da mattatore.
Ovviamente, degli autori dalla spiccata personalità, e la profonda identità americana come i Coen (a proposito, per la prima volta entrambi si accreditano dietro la macchina da presa), non potevano semplicemente accontentarsi di rifare la commedia di Mackendrick, ma la rielaborano alla luce del loro scatenato gusto parodico infarcito di humour nero.
Ecco, allora, che la brumosa ambientazione londinese si rischiara sotto il sole e l’aria sonnolenta del sud del Mississippi, il cui fluire placido è squarciato dai ritmi indiavolati della musica gospel. Ritroviamo le atmosfere di Fratello, dove sei?, con personaggi grotteschi ed esagitati, poliziotti catalettici e perennemente sovrappeso, vecchie signore troppo in carne sotto velette e impietosi vestiti di cotonina. Proprio una di queste, la brusca vedova Munson, fervente affiliata della comunità nera battista di un flemmatico paesino, prende il posto della segaligna e svaporata Mrs Wilberforce, motore immobile della versione inglese.
Intorno a questa Mammy di ben altra coscienza razziale e aggressività, ruota la vicenda di una scalcagnata banda di malfattori capeggiata dal bizzarro Goldthwait Higginson Dorr, sedicente professore esperto di lingue morte, parlata ridicolmente forbita e ossessiva compulsione a virgolettare con le mani. Indossando un letterario pastrano alla Mark Twain convince, con i suoi modi da gentiluomo d’altri tempi e l’appassionata declamazione di versi di Edgar A. Poe, a farsi prendere come inquilino dalla cicciona Munson, vieppiù lusingata di poter sfoggiare un affascinante ospite alle sue altrettanto arzille e bigotte comari.
Il professore ottiene dalla vedova il permesso di poter utilizzare lo scantinato della casa per soddisfare la sua più grande passione dopo la lettura dei classici: suonare musica rinascimentale. Certo il miglior modo per riempire un periodo di pausa sabbatica. In realtà, il progetto è scavare un tunnel che, dallo scantinato, condurrà fino al caveau di un casinò e alleggerirlo del contante. Complici saranno i suoi improbabili e variopinti compagni di suonate, quasi tutti introdotti da una divertente gag. Così, l’assortito quintetto, che si sposta su un carro funebre e utilizza un Boccherini in playback per coprire il rumore di pale e picconi, mette a segno il più classico audace colpo dei soliti ignoti.
Il problema sorge quando la vedova casualmente scopre i loro poco musicali e ben più esplosivi maneggi, imponendo al gruppo la necessità di ucciderla per poterla fare franca. Da qui saranno la morte e il suo humour nero a dominare la scena, chiudendo il film da dove era iniziato, da quel Mississippi placido, solcato da enormi chiatte piene di rifiuti, in cui pure saranno seppelliti, uno alla volta, i nostri maldestri delinquenti. Perfino il furbissimo professor Dorr, tradito da un destino in forma di corvo, infausto auspicio inviato dal suo scrittore preferito.
Ladykillers, dominato da un Tom Hanks impeccabile e un cast di ottimi caratteristi, ha il tocco inconfondibile dei fratelli Coen, il gusto del paradosso, l’umorismo elegante e gigione che popola i loro film di perdenti senza alcuna remissione, sfasati personaggi ai margini della storia, innocenti e falliti anche nel mondo del crimine.
I Coen dimostrano ancora una volta di conoscere alla perfezione le convenzioni dei generi cinematografici, su cui hanno sempre lavorato in chiave parodica e di sottrazione. Ladykillers implicava il rischio del confronto immediato con un classico del passato. Sfida ingenua, che i due geniali fratelli hanno superato, costruendo un sulfureo esempio di gusto cinefilo e scanzonata ironia.