Ritorno all'origine per Ridley Scott e il suo cinema.
Un ritorno più che gradito, che si ancora saldamente alle atmosfere di Alien, non solo per l'ambientazione, ma anche per lo stile lirico ed epico che aveva reso grande il primo episodio della serie. La giusta lentezza di certe sequenze è davvero un tuffo nel passato.
Questo è tanto più importante dal momento che Prometheus non è un prequel, come ci si ostinava a vociferare, ma una suggestione che attraversa la notte dei tempi e si spinge fino al segreto meglio custodito, l'origine dell'uomo.
Il nome dell'astronave, Prometeo, è un omaggio alla mitologia e alla sfida eterna dell'uomo a elevarsi all'altezza degli dei, incarnata dal finanziatore della spedizione, l'anziano Weyland, che vuole vincere la morte grazie all'aiuto dei creatori, gli 'ingegneri'.
Proprio intorno a queste figure è organizzato il viaggio interspaziale: delle incisioni rupestri scoperte nel 2089 in Scozia sembrano indicare un tragitto già individuato nei segni delle antiche civiltà sulla Terra. I calcoli portano a un pianeta che dovrebbe ospitare i creatori della razza umana; ecco che la spedizione del Prometheus può avere inizio.
L'equipe non può non accogliere un androide - nei tratti ariani di Michael Fassbender dopo che il ruolo fu di Ian Holm, Lance Henriksen e Wynona Rider - così come la nave ospita le classiche postazioni isolanti per la criostasi durante il viaggio.
La base aliena è un'opera architettonica che mescola elementi che ricordano l'antichità, come strutture a piramide, sarcofagi faraonici e linguaggio geroglifico. Oltre all'enorme monolite che rispecchia i Moai dell'Isola di Pasqua.
Ma la missione è destinata a tramutarsi in un incubo. Niente è come gli scienziati si aspettavano e gli uomini del Prometheus devono fare i conti con un ambiente ostile. Sembra che i creatori avessero approntato un'arma biologica da usare proprio per un attacco alla Terra, ma tale arma ha preso il sopravvento su di loro e ora minaccia i protagonisti.
E qui ritorna Alien, perché di nuovo il pericolo si manifesta sotto forma di Facehugger, il noto calamaro che immette nella vittima, per via orale, il feto di uno xenomorfo, cioè l'Alien che abbiamo sempre conosciuto. Gli storici bozzoli sono fredde ed enormi anfore che trattengono a stento una melma nera.
Un feto cresce nel ventre della protagonista e, in una delle sequenze più belle, lei stessa provvede all'aborto grazie al supporto di una macchina che compie interventi chirurgici. Splatter, tecnologia e horror concentrati in una bara trasparente.
La vera protagonista, Noomi Rapace, conferma la tradizione della donna emancipata e vincente iniziata dal tenente Ripley, primo esempio nel cinema di eroina action. Così come resta enigmatico e profondo il rapporto con l'androide, uno dei personaggi più completi e, paradossalmente, umani; tanto gelido in certe scelte quanto commovente nel tentativo di omologare i suoi comportamenti a quelli dell'uomo.
Molto bravi un irriconoscibile Guy Pearce e Charlize Theron.
La sequenza finale è spettacolare nel suo intento epico e introduce un finale aperto, ancora alla ricerca della verità.
Ma il vero ending è una sorpresa: luci intermittenti, qualcosa sta nascendo dal ventre dell'ultimo creatore sopravvissuto..
Un film che ci voleva davvero per Ridley Scott, che negli ultimi anni si era dedicato soprattutto al ruolo di produttore e aveva firmato pellicole che non hanno lasciato alcun segno.
Con Prometheus tanti temi vengono a galla: la nascita e la morte, il contagio, l'alieno, la guerra dei mondi, la creazione dell'uomo.
Pretenzioso, certo, ma chi avrebbe potuto fare di meglio, se non chi ha già inventato dal nulla dei mondi nuovi con Alien e Blade Runner?