E’ una tendenza ormai consolidata del cinema americano di elevare qualitativamente il livello medio delle sue macchine da soldi, sempre più seriali. Quei film, comunemente chiamati blockbuster, costruiti per rastrellare milioni in tutto il globo.
Una tendenza cominciata con le saghe di Matrix, Harry Potter, Il Signore degli Anelli e proseguita con i vari fumetti X-Men, Spiderman, Hulk.
A questa felice regola non sfugge Terminator 3. Passando dalle mani di James Cameron, regista dei primi due episodi, a quelle dell’abile Jonathan Mostow, le avventure del robot in pelle umana schwarzeneggeriana perdono in originalità, ma ne guadagnano in ironia, puntando tutto sulla miscela d’azione e spettacolo.
Ritorna John Connor, futuro capo della Resistenza umana contro l’Impero delle Macchine, ma un presente da sfigato vagamente tossico.
Schiacciato dal peso di un avvenire che lo perseguita, viene protetto da un Terminator materializzatosi da un inquietante mondo futuro in guerra con le intelligenze artificiali. Il terribile nemico di questo episodio è un cyborg femmina, una top-model Terminatrix, algidamente sexy (quando non è un ammasso di ferraglia), quasi invincibile, con il compito di uccidere Connor e tutti i capi della Resistenza a venire.
Ne nascono massacri, inseguimenti fracassoni, concerti rap di pallottole, morte, fuoco e distruzione ovunque. Nonché un epico scontro fra i due robot, con botte da orbi siderurgici in cui la donna picchia più dell’uomo, fino a stenderlo (segno dei tempi?).
Infine, il vaso di Pandora è scoperchiato. I sistemi informatici prendono possesso del pianeta e l’umanità è quasi completamente distrutta dalle armi che ha creato. La Resistenza comincia a organizzarsi...
Guardare Terminator 3 è come sedersi sulle autoscontro nel parco giochi di uno sfasciacarrozze. Un film di divertente intrattenimento, pura azione, con parecchia adrenalina e molta ironia a riscattare una trama piuttosto scontata, già vista, con altra suspense, nei precedenti episodi di Cameron.
Rimane un finale cupo e apocalittico, visione pessimistica di un’umanità che si è ciecamente affidata alle macchine, perdendo il controllo su un mondo che credeva d’aver conquistato.
Passabile la coppia d’attori in forma umana, Nick Stahl e Claire Daines. Risibili, invece, le prove dei due protagonisti robotizzati. La statuaria Kristanna Loken è espressiva come uno stoccafisso in specie di bonazza americana in salsa scandinava.
Quanto a Schwarzenegger, conserva i suoi muscoli, ma appare invecchiato in un’ebete stagionatura attoriale, cui la voce d’oltretomba metallico proprio non dona. E ancora meno quella maschera giovanile da Terminator che aveva fatto la sua fortuna vent’anni fa, e che ora gli sta addosso un po’ penosamente.
Raggiunta una certa età, bisognerebbe cominciare a pensare a ruoli da pensione e non a sfasciare tutto quello che s’incontra per la strada.