Nel bel mezzo di un gelido inverno, la visione di Django Unchained di Quentin Tarantino può essere un modo piacevole per scaldare una fredda serata. Perché è, probabilmente, uno dei sui film migliori ed è anche un film che mette di buon umore.
La storia è piuttosto semplice. Django, un nero (o negro, secondo la vulgata del XIX secolo), dopo essere stato acquistato da un ex dentista bianco, tedesco e cacciatore di taglie (il personaggio più affascinate del film), prende coscienza di sé grazie agli insegnamenti di questo, che lo rende un uomo libero.
I due diventano soci e vanno alla ricerca della moglie di Django, Brunilde, schiava presso uno spietato possidente terriero sudista, negriero e sadico, Mister Candy. La liberano, ma il dottore rimane ucciso. A questo punto, Django mette in atto la più spietata e sanguinosa delle vendette nei confronti dello schiavista e di tutti i suoi scagnozzi e tirapiedi.
Insomma, la più classica delle trame dei migliori western all'italiana della storia, dalla Trilogia del Dollaro di Sergio Leone all'originale Django di Sergio Corbucci.
E, ovviamente, in Tarantino gli omaggi e le citazioni abbondano. Dai titoli di testa alla canzone iniziale, tema del film di Corbucci (autore Bacalov); dalla musica sui titoli di coda, esattamente il tema centrale de Lo chiamavano Trinità, alla canzone scritta da Morricone e cantata da Elisa. Oppure certe improvvise zoomate in avanti, scene al ralenti o i flashback che ricordano C'era una volta il West.
Ma, questa volta, Tarantino aggiunge un elemento più, quello fondamentale. Riesce a mettere, finalmente, il suo marchio di fabbrica in un film.
Infatti lo ritengo il suo film più personale, dove la sua visione di cinema si esprime al meglio e in cui Tarantino mette in evidenza (certo con il suo stile) una delle pagine peggiori della storia americana, quella della schiavitù e di tutto quello che di ignobile e miserabile ha rappresentato.
Non più soltanto cinema di serie B che Tarantino mette tra virgolette dandogli una dignità autoriale, ma cinema di seria A a tutti gli effetti.
Il salto di qualità sarà dovuto forse a una raggiunta maturità dell'autore, ma certo è realizzato anche attraverso una maggiore complessità psicologica dei personaggi, dalla finezza recitativa di Christoph Waltz, che interpreta il personaggio del Dottor Schultz e che potrebbe diventare il suo attore feticcio per i suoi prossimi film. Oppure dalla vera anima nera del film, il personaggio di Stephen (Samuel L. Jackson, truccato come lo scimpanzé cattivo di II pianeta delle scimmie con Charlton Heston), un vecchio schiavo negro, perverso e diabolico, vero deus ex machina e ispiratore delle malefatte di un superlativo e cattivissimo Leonardo di Caprio, che interpreta Calvin Candy.
Insomma, tutti coloro che amano questo genere spesso bistrattato dai critici (non a caso in passato è stato utilizzato l'epiteto spregiativo di spaghetti-western) non potranno che godere dalla visione di questo film affascinate e divertente.