Giornate che si susseguono tutte uguali: preparare la colazione alle bambine, vestire i panni della figlia assennata davanti a sua madre, curare l’immagine delle modelle da catalogo per il marito fotografo. Sarebbe stato così per sempre, se uno sguardo dalla finestra non avesse colpito Diane Arbus (Nicole Kidman).
Due occhi che la fissano, la trovano: un uomo col viso coperto da una strana maschera è il nuovo vicino. Una forza sconosciuta o forse solo assopita, si impadronisce della mite e spenta casalinga newyorchese.
Deve conoscere quell’uomo, deve scoprire il suo segreto: un pensiero e un mistero in grado di riportarla alla vita. Una chiave: Diane la trova per caso (o forse no) sturando lo scarico del bagno. Una domanda che le viene rivolta dal vicino attraverso il citofono: «Diane…hai preso la chiave?». Un quesito semplice e oscuro allo stesso tempo, reso vibrante dalla voce unica e profonda di Luca Ward, doppiatore nel film di Robert Downey Jr: loro sono rispettivamente le corde vocali e gli occhi (per ora) di Lionel.
La ricca figlia di pellicciai snob e superficiali. Una donna anestetizzata dalle convenzioni sociali del perbenismo medio-borghese dell’America fine anni ’40. Diane «risorge» dal torpore che ha bloccato come un laccio emostatico, il flusso vitale della sua vera natura. Sfida le regole, e con una laconica motivazione rifilata al marito Allan (interpretato da un malinconico e «grigio» Ty Burrel) «Voglio fare delle foto ai vicini…», sale le scale fino al piano superiore. Un lampo di eccitazione e al tempo stesso di terrore nel blu degli occhi di una splendida Nicole Kidman che, con al collo una Reflex biottica, và incontro all’ignoto.
Un ultimo gradino, altri due passi, la chiave che gira nella toppa e spalanca a Diane la porta di un mondo controverso e respinto: il mondo che lei amerà più di ogni altra cosa. Ad aspettarla c’è Lionel: un freak malato di ipertricosi (crescita incontrollabile dei peli) che vive realizzando e vendendo parrucche. Una figura che ricorda il misticismo pagano, resa teatrale dai movimenti lenti e fluttuanti di Downey Jr.
Senza l’ausilio della mimica facciale, con il volto interamente coperto di peli, l’attore conferisce al personaggio il giusto spirito. Lo spirito di un uomo ai margini, un fenomeno da baraccone in quanto diverso, che non giudica i desideri più intimi di Diane come perversioni: visitare bordelli, obitori e locali malfamati. Lionel realizza i sogni di lei, sogni celati negli anni grigi di una tranquilla vita coniugale che la donna divide con il marito: un uomo «normale».
È questo ciò che terrorizza Diane, più della sua insonnia e della vista di un cadavere: essere prigioniera della normalità, della banalità di obblighi e doveri. 145 minuti di continua scoperta in questa pellicola del 2006 diretta da Steven Shainberg: un gradevolissimo sottofondo jazz mette in luce il mondo ricusato dei nani, dei gemelli siamesi, delle prostitute, dei deformi, dei nudisti.
Una dimensione scomoda e aberrante che la vera fotografa americana Diane Arbus, celebrerà nella sua opera scandalizzando l’epoca ovattata delle sorridenti pin-up anni ’50. Il film è infatti una biografia romanzata dell’artista, ripresa dall’omonimo libro di Patricia Bosworth. Tutt’altro che irreale ci sembra l’amore: Diane e Lionel dopo aver condiviso molteplici esperienze, si amano.
Diane ha «visto» Lionel prima di riuscire a guardarlo. Sublime la scena d’amore dove catartico non è l’amplesso, ma l’abbraccio tra i due: Lionel, finalmente depilato, può «sentirla» e fondersi con la sua carne. Alla fine l’uomo muore: la sua sindrome gli ha causato asfissia polmonare. Dedica il suo ultimo respiro a Diane e lei gli sarà accanto, quando lui deciderà di «andarsene» a modo suo: tra le onde dell’oceano con il vento e la salsedine che accarezzano la sua pelle.
Scompare così, lasciando a riva una Diane con il cuore in frantumi, ma con la speranza di una vita nuova. Sulle spalle un soprabito realizzato da Lionel e la foto del suo volto in una mano, Diane lascia la sua famiglia e sceglie di seguire il suo sogno di fotografa. Amare oltre le convenzioni, le differenze. Nutrire e nutrirsi nell’anima oltre la malattia, oltre la vita e la morte e comprendere che i veri mostri spesso hanno volti angelici e perfetti, e non cuori pulsanti che la biologia (scienza imperfetta) ha celato per errore, sotto strati di cheratinociti deformi.