Le premesse per un nuovo corso del cinema italiano c'erano tutte: Roma, il modello della dolce vita, la crisi economica, politica, sociale e morale dell'Italia, il grande talento visivo di Sorrentino e la sua capacità di sapere cogliere gli aspetti meno evidenti delle cose. Anche i trailer che si sono visti negli ultimi tempi facevano presagire un film che sapesse raccontare questo nostro tempo inquieto e incomprensibile.
Ma la linea narrativa scelta da Sorrentino e dal suo sceneggiatore Umberto Contarello va in un’altra direzione. Si concentra principalmente sulla figura di uno scrittore o presunto tale, visto che ha scritto un unico libro molti anni addietro e che ha continuato a dissipare la sua vita e il suo talento avvinghiato nelle spire malefiche della mondanità salottiera romana.
Il film non ha una vera e propria trama, ma racconta una serie di episodi, alcuni reali, altri surreali, in cui il protagonista Jep Gambardella rimane coinvolto. Ma, pur essendo protagonista di queste storie, il suo sguardo rimane distaccato e nemmeno i vari personaggi che incontra, alcuni stravaganti, molti patetici, altri tragici, moltissimi cinici, riescono a scalfire questa sua vena di apatia e di noia.
La grande bellezza del film sta tutta fuori, intorno, nella grandezza monumentale della città eterna carica di storia e di secoli di arte ed è in contrasto con il vuoto, l'assenza di dignità delle persone che la abitano e che ne sono protagoniste.
Il film è ricchissimo di immagini mirabolanti, di movimenti di macchina inaspettati e magnifici. Per stessa ammissione di Sorrentino il modello di riferimento è Fellini. E infatti ci sono intere sequenze che sono un richiamo diretto al maestro di Rimini: le riprese notturne con la macchina da presa che si insinua nelle dimore dell'aristocrazia e che ne svela i tesori artistici nascosti; la sequenza delle persone in attesa del consulto con il chirurgo plastico e le loro facce gonfie e abbruttite dalla chirurgia estetica; le riprese nei cortili degli istituti religiosi con le suore che inseguono i ragazzini, oppure ancora le feste popolate da tutta quell'umanità tipica dell'immaginario felliniano, fatta di nani, pseudo artisti, ex soubrette in disarmo grasse e sfatte.
Tuttavia, tutto questo non basta a definirlo la “nuova Dolce Vita”, non ne ha lo slancio graffiante e nemmeno lo sguardo dolente che era in grado di sapere cogliere la trasformazione sociale del paese. L'impressione generale è che il film rimanga come avvolto in se stesso, quasi compiaciuto, con troppi dialoghi ricercati, ridondanti e, troppo spesso, eccessivamente sentenziosi, senza che il film alla fine sappia arrivare da nessuna parte.
E' come se il talento di Sorrentino fosse rimasto imbrigliato dalla sua stessa bravura, o se gli elogi e riconoscimenti internazionali ricevuti dopo i suoi due capolavori Le Conseguenze dell'amore e Il Divo (che ne hanno fatto uno dei registi più importanti del mondo) lo avessero come frenato, ne avessero compromesso la capacità di parlare a tutti e lo avessero portato a rivolgersi a una platea più ristretta.
Come sempre, però, sarà il tempo, con le sue stratificazioni, a dare il giudizio definitivo sul film, se cioè riuscirà a incidere nell'immaginario collettivo e se saprà avere quello sguardo profetico che soltanto i grandi film (e la vera arte in genere) sanno avere.