Carol (Catherine Deneuve) è una giovane belga residente con la sorella nel West End, quartiere centrale di Londra. A caratterizzare il suo comportamento è un'apatia che la rende inerme dinnanzi al prossimo, sia esso il fidanzato o uno sconosciuto incontrato per strada.
Dopo essere stata licenziata dal salone di bellezza in cui lavorava, la donna inizia ad avere strane allucinazioni giungendo a perdere completamente il controllo degli oggetti. L'appartamento diviene un luogo pericoloso, il corrispettivo della mente turbata della giovane.

Il regista ha voluto descrivere, con cura in ogni dettaglio, il processo di sdoppiamento della personalità che caratterizza i malati di schizofrenia: ad un'insoddisfacente esistenza esperita nel reale, il soggetto reagisce creandosi una vita parallela contaminata, però, dai tormenti che il reale, nel quale ancora si è costretti ad agire, costantemente induce.
Il montaggio si mostra in grado di tratteggiare gli aspetti più nascosti del malessere provato. Frequenti sono i tagli e le aggressioni attraverso i quali la cinepresa cerca di penetrare nel volto di Carol, un volto appositamente senza trucco, al fine di cogliere l'emergere di qualsiasi emozione mai sbocciata. Il volto diventa, così, il punto d'arrivo di un percorso nato nel cervello della donna. La violenza e gli scatti repentini del montaggio rimandano all'enfasi con cui Carol colpisce le sue vittime. Anche le crepe sul muro e sul marciapiede che la donna percorre rimandano, simbolicamente,
alle crepe nell'animo della protagonista.
Dal punto di vista sonoro, tutto questo è reso dall'assenza di suono e dai lunghi silenzi che lasciano parlare la gestualità lenta di Carol, quel silenzio interiore che rende lo spazio della mente un sicuro rifugio, ovattato rispetto al reale da essa percepito come potenzialmente pericoloso. A questo pericolo la donna risponde rimanendo immobile: l'unica parte del corpo che riesce a muovere sono i suoi occhi, sempre rivolti verso il basso a causa, probabilmente, di un conto in sospeso con se stessa, come si evince, quasi alla fine del film dalla targa dell'auto illuminata: "I VS ME".

Il film, ispirato ad una ragazza conosciuta da Polanski a Saint-Germane-des Près, è stato molto apprezzato dagli psichiatri per il convincente ritratto sulla schizofrenia che ne è emerso. È stilisticamente molto all'avanguardia, soprattutto per quanto riguarda l'introduzione di inserti onirici capaci di raccontare i fantasmi, i mostri, le pareti mobili che si scatenano nella mente della giovane protagonista, prigioniera di se stessa in un appartamento ormai divenuto specchio della morte.