Fortunato Santospirito, il protagonista del film, è un giovane che da Trevico si trasferisce a Torino per prendere servizio, come operaio, alla Fiat.
Ci viene mostrato nel difficile momento del suo inserimento nella realtà torinese: è attorno a questo tema che ruota la sceneggiatura. Egli diviene una vera e propria calamita, attirando vari interventi da ambienti diversi, fino a farlo apparire nel doppio ruolo di protagonista e giornalista.
Tale duplicità è all'origine di un'ambiguità di fondo, rintracciabile nella sceneggiatura che continuamente oscilla tra l'intento di offrire, da un lato, un resoconto attendibile della drammatica realtà e, dall'altro, il degenerare verso un’illustrazione delle situazioni attraverso il canone eccessivamente esemplificativo e superficiale della cronaca televisiva.
Possiamo riconoscere, nella struttura complessiva del racconto, tre momenti principali: l’inserimento dell'uomo nella nuova realtà, l’esperienza di operaio meridionale del PCI e, infine, l’emergere della figura di Vicky Franzinetti, rampolla della buona borghesia torinese e militante di Lotta Continua.
Questi diversi momenti non corrispondono, tuttavia, alle tappe del processo di presa di coscienza del protagonista. Lui, del PCI, si innamora della giovane Vicky, questa ragazza un po' saputella, un po' viziata ma anche ribelle, ribellione che la porta a scappare di casa, una casa da lei definita come un inferno.
Le idee della donna sono però rivoluzionarie, tipiche della classe borghese, troppo lontane da quelle del povero Fortunato (sembra un gioco di parole ironicamente insito nel suo nome). Da qui la sua amara conclusione: tra loro non potrà mai funzionare. Ed ecco che la catena di montaggio lascia emergere a 360° la sua tremenda azione di alienazione nei confronti dell'uomo, non solo a livello di realizzazione professionale, come già preannunciato dal taylorismo, ma anche nei sentimenti.
Tale impossibilità di realizzazione sentimentale rivela, fuor di metafora, l'impossibilità di un'alleanza tra la classe operaia (PCI) e gli estremisti (sinistra rivoluzionaria) e sottolinea il tentativo, non facile, del regista di raccontare questo amalgama di situazioni economiche, sociali e politiche dal punto di vista generazionale.
Ettore Scola propone un cinema verità, con effetti tipici della commedia di costume all'italiana (la love story con la studentessa), non rinunciando, e anzi, insistendo sul fine pedagogico-politico di tale produzione: si tratta di un prodotto cinematografico capace di intrattenere, ma anche di far nascere delle riflessioni/discussioni non solo tra un pubblico (quello di allora) politicizzato, ma anche tra studenti e masse di persone solitamente tenute lontane dalla presa di coscienza di cosa sia e di come funzioni la res publica.
A differenza dei precedenti, Scola si allontana da Roma e focalizza la sua attenzione su Torino, su quella che allora, in una società non ancora globalizzata, poteva apparire come una realtà completamente diversa rispetto all'esistenza capitolina. Ci troviamo pertanto di fronte al racconto di un viaggio nella Torino degli ani '70, uno spaccato d'Italia che, ancora oggi può attirare lo spettatore grazie all'inalterato sapore di attualità (considerando l'attuale crisi economica e le varie tribolazioni politiche) che promana dalla pellicola.