Mi preme molto approfondire un importante aspetto del cinema di Peckinpah, ovvero aprire un paragrafo riguardo ad un certo tipo di ricezione critica di questo film in particolare ma, come si vedrà, il discorso è trasversale nella sua Opera.
Sono molto interessanti questi interventi, perché mostrano come, non solo a caldo, anche dopo molti anni Peckinpah sia trattato spesso con pregiudizio e facili accuse: violenza in primis, seguita dalla misoginia. E trasversale (o quasi) è anche il comportamento dei produttori rispetto a questo e molti altri film del regista, argomento cui rimando alla fine.

Il primo spunto, a caldo, è la breve (ma sostanziosa) recensione di Tullio Kezich del film, il quale prima definisce il regista un "anarchico di destra", per poi aggiungere che lo stesso Peckinpah "ci riporta al mito in un West manierato e violento dove si avverte il passaggio di Sergio Leone. Oltre all'ormai abusato spreco di spari e di sangue, i gesti sono ridondanti, le frasi sonore, il gusto addirittura dannunziano"(1). Ora, innanzitutto c' è da chiedersi cosa, se non il pregiudizio sulla violenza nei film dell'autore, permetta di definirlo anarchico di destra. Se fosse di destra, non sarebbe anarchico (il fascismo professa la dittatura dello stato e dell'ordine); se fosse anarchico, non sarebbe di destra (sarebbe anarchico e basta). Oltre a ricordare la strenua critica al Capitalismo di tutta la sua poetica.
In secondo luogo, un altro pregiudizio: ovvero quello in voga ai tempi, soprattutto per i più nazionalisti, di attribuire un'influenza nel cinema di Peckinpah provocata da quello di Leone, solo perché quest'ultimo ha preceduto Il Mucchio selvaggio (The wild bunch, 1969) di qualche anno.
Vorrei ricordare che Sfida nell'Alta Sierra (Ride the High Country) è del 1962 e vi ci sono racchiusi già tutti i temi e le tecniche propri del regista anche se in misura minore del Peckinpah a cavallo dei '70, mentre Per un pugno di dollari è del 1964. Questo non toglie che possano esserci stati tributi, citazioni, contaminazioni benefiche, ma le differenze sono di sostanza, come espresso molto più precisamente nella mia Tesi, di cui questo è soltanto un breve approfondimento; rimando a quella prima di tutto. "Peckinpah è stato il più fordiano, malinconico e tragico degli autori americani; il suo cinema è tanto classico da riuscire a distruggere il classicismo ed a reinventare le forme. Leone, nei primi Western, ha un debito verso i comics e le serie televisive Western".
Leone ironizza, rende tutto astratto e stereotipato, fa della tecnica e dell'estetica i contenuti primi. Peckinpah è anticonformista, complesso e critico riguardo la Storia, il Mito e il Reale. "Peckinpah taglia e monta a velocità vertiginosa ed ogni tanto blocca un volto, un istante, un fiotto di sangue; Leone, invece, allunga i tempi delle inquadrature, li esaspera, per poi esplodere in un confronto vorticoso"(2). Partono dagli antipodi insomma.

E, se proprio bisogna trovare tra i due il più dannunziano, questi è Leone, legato molto di più alla maniera, non certo Peckinpah ed in particolare Pat Garrett e Billy the Kid, così cinico e critico della realtà (riferimento al capitolo 4 della Tesi). In risposta alle accuse di inutile violenza e di abusato spreco di spari e di sangue riporterei direttamente le parole del nostro autore, nell'intervista a Playboy: "[...] è su quella che tutti vogliono incastrarmi. Pensano l'abbia inventata io" (si parla di violenza ovviamente) e più avanti: "Non puoi rendere realistica la violenza agli spettatori di oggi se non li costringi a sbatterci il naso contro. Ogni giorno in televisione vediamo le guerre e le persone che muoiono, che muoiono davvero, ma non sembrano reali. Non pensiamo mai che quelle persone che muoiono siano reali. Siamo stati anestetizzati dai media"(3).
Non bisogna mai dimenticare inoltre che il cinema classico hollywoodiano ha espresso la violenza ai massimi livelli; certo, non la mostrava oppure era molto restio e pudico nel farlo, ma non la si può negare sul piano dei contenuti. Creando così una generazione (forse ben più di una) annichilita ed appunto anestetizzata che però scatta in prima linea contro una messa in scena realistica nei confronti della violenza. Una delle scene più belle e famose della storia del cinema classico è una scena di violenza inaudita, con forti elementi splatter, ma quando la si vede non la si ascrive mai sotto quest'ottica; parlo della scena della doccia in Psyco (A.Hitchcock, 1960), la quale, non mostrando mai la lama che squarcia le membra di Marion, non ci dà quest'impressione di violenza, ma essa c'è, eccome.

Il secondo spunto riguarda il concetto di misoginia che avrebbe dovuto affliggere Peckinpah, secondo non pochi interventi critici. Le accuse concernono soprattutto la figura di Amy e la scena dello stupro in Cane di paglia (Straw dogs, 1971), arrivando a definire il regista addirittura fascista, ma un contributo lo si può trovare anche riguardo il film qui preso in esame. Mi riferisco a Caprara, quando afferma: "La libertà sessuale di Fort Sumner non è sorprendente né originale, anzi è comparabile a quella che Garrett pratica nel bordello di Ruthie Lee in un'ironica, semi-sadica seduta di amore di gruppo"(4). In questo caso si perde di vista la visione totale di Peckinpah per, ancora una volta, facili uguaglianze. Pat Garrett ha un rapporto alquanto nevrotico con l'amore. Non tocca neanche con un dito la moglie, ed anzi la tratta molto male urlandole addosso, per poi scatenarsi nel bordello. Non sembra, dagli atteggiamenti, sapere molto quello che vuole davvero, in perenne conflitto interiore. Ma la diversità sta, ed è la costante del film e del cinema tutto di Peckinpah, nel Capitale e nella mercificazione. La differenza fondamentale dietro alle due "libertà sessuali" dei personaggi è che una è tale, l'altra no. Billy ha una vera e propria relazione con Maria, si innamora e la rispetta e, come lei, desidera fare l'amore. Pat no. E' sposato, ma evidentemente non ama sua moglie Ida e trova appagamento solo quando paga, appunto, per il piacere nel bordello. Questa non è sicuramente libertà sessuale, ma costrizione legata al meccanismo domanda/offerta capitalistico. Fortunatamente almeno lo sceriffo è rispettoso verso l'ultima notte d'amore di Billy, memore forse di quando anche lui era così, prima che le cose fossero cambiate.

Terzo ed ultimo spunto, decisamente a freddo, riguarda uno degli argomenti più lungamente trattati nella Tesi, e anche uno dei più interessanti del film, ovvero la figura di Alias / Bob Dylan. L'intervento riguarda la musica del film, ma si spinge oltre; parlando di Bob Dylan: "[...] recita soltanto. Non ha la chitarra a tracolla, non commenta musicalmente i fatti, insomma non fa il menestrello". E conclude: "[...] non si sa mai bene chi sia veramente e cosa voglia. Non solo Dylan-Alias non canta e non suona, qui, ma in pratica non apre mai neanche la bocca per dire qualcosa"(5).
Insomma la prestazione di Dylan sarebbe un disastro perché non tiene una chitarra in mano e non dice molto. Comuzio non si avvede evidentemente però dell'icona che Bob Dylan rappresenta: la sua aura di ribelle ed anticonformista da sola (come poi Will / Peckinpah nel finale) permea di significati la narrazione. "Alias come?" gli chiedono, "Alias quello che ti pare" risponde. Io aggiungerei: "Alias Bob Dylan".Fa solo un paio di gesti in effetti, ma molto molto importanti: uno è abbandonare il suo squallido lavoro per seguire il Kid verso Fort Sumner, e poi si schiera tanto da difenderlo uccidendo un bounty killer con un coltello; un altro è l'elenco sotto costrizione di Garrett dei barattoli e delle merci presenti nella credenza del bar, il quale evento, se lo consideriamo metafora sul mondo dello spettacolo e modalità dell'informazione (cambiando Pat con la legge oppure il potere o ancora la figura del produttore, ed Alias con il medium divulgativo, che può essere l'artista come l'arte) può diventare illuminante. Si dimentica qui anche la funzione di Bob Dylan nella musica extradiegetica. Il cantore in realtà è sempre presente, aleggia giustamente al di sopra dei personaggi, così come i significati sociali, moderni ed universali aleggiano al di là della storia di Billy the Kid. Ed inoltre è diretta a noi la musica, allo spettatore perché non pensi che sia solo di circostanza, ma perché rifletta sui significati profondi della narrazione. Fosse stata intradiegetica ci sarebbero stati numerosi problemi, primo fra tutti la sua giustificazione: come era possibile che nel 1880 si suonasse della musica del genere? Bob Dylan recita una parte che è anche quella di se stesso, così come Kris Kristofferson (Billy), anche lui cantante country ed esponente della controcultura americana.

Riguardo propriamente alla musica, sempre Comuzio afferma che questa "è scarsa e non particolarmente rilevante: più che altro si tratta di tocchi di chitarra lievi ed intermittenti, un po' stanchi, che affiorano qua e là"(6). La musica di Bob Dylan non è mai scarsa o non rilevante. E' lo specchio di un'idea, di un modo di pensare, e, oltre ad aver anch'essa fatto la storia della musica moderna, è un'icona degli anni '60 e '70, a prescindere che sia intermittente o no. Al massimo si può essere in accordo o in disaccordo con un certo pensiero, ma, visto che siamo di fronte ad opinioni personali, ne esprimerò una anch'io: la morte dello sceriffo Baker, ovvero Slim Pickens, al tramonto, con in sottofondo Knockin' On Heaven's Door, vale da sola il mitico "prezzo del biglietto", a prescindere che Peckinpah la volesse o no così (difatti sembra non fosse nelle sue intenzioni).

Per quanto riguarda il rapporto con i produttori, non si può non accennare almeno la "fine" che ha fatto quello che avrebbe potuto essere il più grandioso film di Peckinpah: Sierra Charriba (Major Dundee, 1964), mutilato addirittura sul nascere, con il divieto di girare tantissime sequenze (tutto l'inizio e la fine ad esempio) e altre deformazioni in sede di montaggio. Questa è a tutti gli effetti una pagina nera della storia del cinema americano, e meriterebbe uno studio a parte, per ora rimando al Castoro di Caprara sul regista, nel quale è presente una esaustiva lista delle scene tagliate.

Per quasi tutto il resto, queste le parole di Peckinpah stesso, l'anno prima di Pat Garrett e Billy the Kid: "[...] Il mucchio selvaggio e Cable Hogue sono stati distrutti. Warner Bros ha fatto a pezzi Il mucchio selvaggio, tanto che devi andare in Europa per vedere una cosa che assomiglia alla versione che avevo girato io. Cable Hogue è stato sprecato dalla distribuzione nonostante la gente cominciasse a fare attenzione al mio lavoro e nonostante Il mucchio selvaggio avesse incassato bene. Prima di cominciare Cane di paglia avevo cinque film nel carniere e nessuno di questi era visibile in questo paese o almeno non nella forma in cui l'avevo voluto io. Tutto quello che ho fatto è stato massacrato o gettato via. La cosa peggiore che possa capitare ad un romanziere è che un suo libro non venga più ristampato. Ma quel libro sopravvive, almeno nelle biblioteche, nella sua forma originale. Ci sono delle persone che so io che amerei tanto uccidere, non sto scherzando, vorrei ucciderle. Sai com'è, tu fai tutto il possibile, ci passi su un mucchio di tempo e poi arriva qualcuno a distruggerti. Non ho intenzione più di lavorare per gente del genere"(7). Manco a dirlo, l'anno successivo a questa intervista inizierà le riprese, con nuovi (ma sempre gli stessi) problemi, di questo suo ultimo Western. Per maggiori profondità e differenze rimando ancora una volta alla Tesi, ma basti dire che di Pat Garrett e Billy the Kid esistono 3 versioni: quella uscita in America da 106' con vistosi tagli e omissioni, un'altra del 1988 edita dalla Turner, lunga 122' e che non dovrebbe essere troppo diversa da quella uscita in Europa a suo tempo, e un'ultima datata 2005, una Director's cut con ulteriori scene aggiunte (tra cui quella importantissima di Garrett con la moglie Ida) e forse più vicina ai voleri del regista. Risultano praticamente 3 film diversi.

Lo spirito di continuare insomma, ma non con dei sogni precisi, in grande, o addirittura raggiungibili. Continuare "a giocare" e basta, perorando sempre il ruolo dell' outsider fino alla fine (ed è proprio questo quello che ha fatto il regista), perché, come dice a dovere Fofi alla fine della sua recensione del film: "Il momento di una possibile altra società americana è, se c'è mai stato, per Peckinpah passato per sempre"(8). E non si sta parlando solo del dopo '68, ma anche e soprattutto di adesso, il presente in cui viviamo, lacerato dagli stessi problemi, che nel frattempo si sono esponenzialmente ed irrimediabilmente (o forse lo erano già) ingranditi.


BIBLIOGRAFIA

(1): T.Kezich, Il Millefilm. Dieci anni al cinema 1967-1977, Edizioni Il Formichiere, prima edizione 1977.
(2): E.Martini, B.Fornara, A.Piccardi, Speciale "Il mucchio cavalca ancora", in Cineforum, n.351, anno 36, prima uscita, gen-feb 1996, pagg. 4-13.
(3): Una candida conversazione con il Picasso della violenza. Playboy intervista Sam Peckinpah, Playboy, agosto 1972, in (a cura di) F.La Polla, Sam Peckinpah. Il ritmo della violenza, Le Mani, Genova, 2006, pag. 199.
(4): V.Caprara, Sam Peckinpah, seconda edizione aggiornata, Il Castoro Cinema, Milano, 1997, pag. 123.
(5): E.Comuzio, Le colonne sonore di Peckinpah. Se i personaggi non parlano la musica parla per loro, in (a cura di) F.La Polla, Sam Peckinpah. Il ritmo della violenza, Le Mani, Genova, 2006, pag. 76.
(6): Ivi.
(7): Una candida conversazione con il Picasso della violenza, op. cit., pag. 214.
(8): G.Fofi, Pat Garrett e Billy Kid, in Quaderni Piacentini, n.51, gennaio 1974; ora in G.Fofi, Capire il cinema. 200 film prima e dopo il '68, Feltrinelli, Milano, 1977