Guardando un film americano doppiato vi siete mai chiesti come suonerebbe un bel "vaffanculo" italiano nell’originale? Io sì.
Per soddisfare questa mia curiosità ho analizzato un corpus di 21 film americani girati di recente in modo da ottenere uno specchio abbastanza fedele della lingua utilizzata nelle conversazioni reali di tutti i giorni. Ho deciso inoltre di analizzare film dove si potesse reperire un’alta concentrazione di cosidette “brutte parole”, ecco perché nel mio corpus si troveranno prevalentemente film di guerra come ad esempio "Full Metal Jacket" o comici come "Io, Me e Irene" dei Farrelly Brothers, dove appunto l’uso del turpiloquio è determinato dalla situazione cinematografica narrata.
Da questa analisi ne sono derivate delle scoperte davvero interessanti: vi sono casi in cui l’insulto viene tradotto, o direi meglio adattato, in maniera fedele, ecco che in questa situazione il film diventa uno strumento didattico dal punto di vista linguistico perché può servire davvero per sapere come dire e usare un certo tipo di insulto in maniere fedele al suo significato di partenza. Poi vi sono casi in cui la traduzione fedele diventa un fattore secondario rispetto ad altri elementi vitali per la riuscita del film. In quei casi la traduzione risulta tutt’altro che fedele. Occorre ovviamente considerare anche il fatto che l’obiettivo della traduzione per il doppiaggio non consiste nella fedeltà alla lingua di partenza, ma nella resa del film stesso: esso deve dunque risultare naturale e credibile, come se le parole venissero direttamente dalla bocca dell’attore sullo schermo.
La traduzione per il doppiaggio è infatti un particolare tipo di traduzione multimediale che non a caso è stata definita vincolata, in quanto deve sottostare a particolari condizioni. Essa non può essere sempre fedele perché deve sottostare in primis al vincolo dell’adattamento della parola tradotta al Labiale, il cosiddetto" lipsync": spesso il significato originale dell’insulto deve essere sostituito con una parola che si adatti perfettamente al labiale dell’attore americano. Affinché il film sia credibile allo spettatore occorre che le parole sembrino proferite dall’attore stesso sullo schermo.
Se su una “o”, pronunciata quindi con le labbra strette, si cercasse di sovrapporre una “a” a bocca spalancata, il filmato risulterebbe dunque irreale.La scarsità di tempo a disposizione per la traduzione rappresenta un altro vincolo: essa non solo favorisce traduzioni non corrette, ma amplifica la tendenza a fare ricorso ad abitudini traduttive che fanno risparmiare tempo e fatica al dialoghista: l’insulto Asshole ad esempio viene solitamente tradotto con “stronzo”. Questo succede a priori, senza che si verifichi il contesto d’uso. Ciò accade perché la parola stronzo si adatta perfettamente al labiale dell’originale asshole.
Questo tipo di traduzioni “libere” sono anche favorite dal fatto che gli insulti in sé non sono elementi portatori di significato per quanto riguarda la comprensione del significato del film, ma si tratta “solamente” di elementi atmosferici: gli elementi portatori di trama devono essere assolutamente tradotti perché essenziali per la comprensione del film, invece quelli che hanno una funzione meramente comunicativa ( come i saluti, gli insulti ecc.) possono essere resi con maggiore libertà. Questo fatto ha conseguenze profonde per la traduzione degli insulti: non essendo infatti necessari per la comprensione del film vengono di solito tradotti con minore attenzione e in maniera più libera. Questo spiega perché si cerchi di perdere meno tempo possibile per tradurre gli insulti stessi: essi danno colore al film, ma non aggiungono significati utili per la sua comprensione.
In conclusione, il film può essere un ottimo dizionario multimediale di insulti nel momento in cui il significato originale non debba essere sacrificato al lipsync o alla fretta che contraddistingue i nostri tempi moderni.