Sono passati tre anni dalla sua prima pubblicazione. Eppure, Gomorra continua a far parlare di se nelle sue diverse forme; romanzo, pellicola cinematografica e rappresentazione teatrale. C’è la reale sensazione che Gomorra di Roberto Saviano entrerà a far parte della storia della letteratura italiana, se non l’ha già fatto.
In questi tre anni innumerevoli sono stati i dibattiti che quest’opera ha alimentato. Controversie di varia natura che spaziano dalla politica alla cronaca, passando per la letteratura finendo alla cinematografica.
La comunità letteraria al gran completo ha appuntato la propria attenzione sull’opera di Saviano. Cosa è Gomorra? A che genere dovremmo attribuirlo? Queste le domande che frullavano nella mente dei cervellotici critici italiani. Una discussione riduttiva e non esauriente, che non tiene conto della grande portata etica-civile di Gomorra. Ridurre il dibattimento ad una definizione di tipo nominalistico è senza dubbio sminuente. Gomorra è un romanzo (è lo stesso Saviano a definirlo in questa maniera), ma certamente non è uno di quei romanzi ai quali eravamo abituati ad assistere. Questo è uno di quel libri che ti si incollano nella mente e difficilmente riesci a staccarteli. Da anni era stata decretata l’inutilità della letteratura ad agire sulla società realmente vissuta. Scurati aveva coniato la definizione di letteratura dell’inesperienza. Ecco Gomorra di Saviano ci sembra la risposta più efficace alla definizione di Scurati. Quello dello scrittore napoletano è una narrazione che incide sulla società, non si distacca aristocraticamente. Il suo è un romanzo dotato di forza agente dentro la società. E non importa che per agire, per smuovere le coscienze e per tramandare le responsabilità, abbia combinato esperienze reali e la sua penna di romanziere. Il risultato rimane eccellente. Ecco perché vivisezionare l’Io del romanzo, quella persistente presenza che percuote il libro da inizio a termine, è inutile dinnanzi alla portata di questo volume. Quell’io rimane l’unico protagonista del libro, percorre la sua trama, la vive, e condensa in se non solo le esperienze personali di Saviano, ma anche di più. La definizione più idonea ci sembra quella dei Wu ming che hanno denominato quell’io “una voce collettiva” nel quale Saviano ci mette tutte quelle voci di esclusi, di sconfitti, che non hanno mai avuto modo di raccontare la loro voglia di scacciar via la camorra; di opporsi a decenni di sopraffazione camorristica. Gomorra diviene il luogo in cui una miriade di comparse partecipa ad un coro collettivo, capeggiato da Saviano, che vuole dire basta con la camorra e l’ingiustizia. Saviano sa ed ha le prove, e per questo racconta perché il suo romanzo ha il valore della testimonianza. Lui è il prosatore civile (come Pasolini era il poeta civile, ma lui sapeva e non aveva le prove del male dell’Italia) che parla all’Italia che dovrebbe essere e invece non è.
A condensare ed acuire l’affresco di Saviano ci ha pensato a due anni dall’uscita del romanzo Matteo Garrone. Egli riportando sui grandi schermi Gomorra, ha realizzato una pellicola di grande qualità. Film e romanzo corrono su due strade differenti. Ma, entrambi, lasciano la stessa sensazione nella mente dei lettori e degli spettatori: sconcerto, sdegno e voglia di reagire, a storie di quotidiana ingiustizia che sembrano tanto lontane, ma che in realtà sono a due passi.