Se dobbiamo pensare ad un film che racchiude in sé tutto quello che c’è da sapere su una particolare tecnica cinematografica non può che venirci in mente Nodo alla gola, diretto da Alfred Hitchcock nel 1948. Esempio di piano-sequenza portato all’estremo, piccolo capolavoro ancora attuale nei suoi contenuti.
E' una presa in giro del superuomo che può compiere azioni ingiustificate pur di eliminare chi dà fastidio, abilmente arricchita di suspence dal maestro del giallo.
Siamo subito resi partecipi del delitto, perché, dopo un breve volo nel cielo della città, ci ritroviamo, inermi, ad assistere allo strangolamento di un ragazzo da parte di due amici, Shawn, sicuro di sé, e Philip, più incerto.
Non sappiamo perché e non lo sapremo mai, ma siamo consapevoli di essere gli unici testimoni di questo gesto efferato. Siamo i soli a inorridire davanti alla cena preparata sulla cassapanca che contiene il morto; cena a cui partecipano anche, ignari, il padre e la fidanzata della vittima.
Noi, senza rendercene conto, capiamo che chi può alleviare la nostra angoscia è solo il professor Rupert, ma ci sembra sempre che qualcosa gli impedisca di arrivare alla verità. Rupert si accorge della tensione che alberga nell’animo di Philip e, preso dal sospetto, condurrà gli assassini, che si sentono ormai sicuri, al crollo psicologico in una trama complicata di domande, rimandi e allusioni.
Grande importanza viene data agli oggetti, per prima la cassapanca: sulla “bara” improvvisata si prepara la tavola e sembra sempre che qualcuno stia per aprirla, ma lo scaltro Shawn risolve sempre la situazione.
E poi la corda. Shawn riesce addirittura ad usarla per impacchettare dei libri da prestare al padre della vittima. La tensione aumenta quando Shawn porta il discorso sugli omicidi ed espone le sue teorie che appaiono assurde. Ascoltiamo increduli la sua convinzione che al mondo ci siano persone inutili che vanno eliminate senza farsi problemi e, tra termini che ci richiamano alla mente l’omicidio appena visto (strozzare, impiccare…), la conversazione culmina nella storia di Philip che tira il collo ai polli.
La suspense creata fin dall’inizio non ci lascia mai, grazie alla geniale idea di utilizzare un unico piano-sequenza. Ottanta minuti senza interruzioni, il tempo del cinema che segue il tempo della realtà. Ma perché questa scelta difficile? Possiamo trovare una risposta nelle parole di François Truffaut, che, riferendosi a Hitchcock, racconta: “siccome ama il suo mestiere appassionatamente tanto che non smette mai di girare e la messa in scena non ha più dei misteri per lui, è costretto ad inventarsi nuove difficoltà, nuovi flagelli se non vuole annoiarsi o ripetersi, di qui nei suoi film l’accumulazione di problemi sempre più appassionanti e sempre risolti brillantemente”.
Hitchcock sembra quindi cercare una prova che possa esaltare ancora di più la sua bravura. E ci riesce, creando un unico piano-sequenza di ottanta minuti. In realtà la tecnologia di quel periodo non permetteva di registrare così tanto su una sola bobina. Come risolvere il problema? Con un tocco di genio: con precisione millimetrica, alla fine dei 10 minuti di ogni bobina, qualcosa o qualcuno di scuro (la cassapanca, una giacca…) passa davanti alla cinepresa e si può così cambiare la bobina e ripartire da dove ci si è fermati. Enorme per questo tipo di lavoro la preparazione, perché una sola battuta sbagliata, un solo oggetto fuori posto avrebbero rotto l’incanto e avrebbero costretto a ripetere tutto da capo.
Solo il genio e la direzione magistrale di una personalità come Hitchcok potevano riuscire in questa faticosa impresa.