"Sarà un caso ma, dopo essere rimasto “scottato” dall’esperienza negativa di 9 songs, ecco che Winterbottom compie, con A cock and bull story, un’operazione che dal punto di vista strutturale pare essere il contrario della precedente.
Là infatti il senso poteva essere ritrovato nell’intenzione di isolare un tema ricorrente (mente vs. corpo) e fare di una sua declinazione – e non attorno ad una sua declinazione – il film, lavorando quindi, come detto, di sottrazione.
Qui, invece, il regista riprende la struttura enunciazionale costruita su più livelli di 24 hour party people e la arricchisce: come dice lo stesso Winterbottom, “la cosa bella, qui, è che il libro è incentrato sul non-racconto della storia che ci si aspetta che racconti, quindi è la perfetta scusa per fare quello che vuoi”.
E se nella pellicola del 2002 esisteva un unico mondo/livello diegetico in cui Tony Wilson era contemporaneamente narratore e “narrato”, in A cock and bull story lo stratagemma del film-nelfilm permette a Winterbottom di costruire due universi diegetici.
Due universi che però non sono sempre chiaramente distinti: non possiamo mai dire con certezza se quello dello Steve Coogan che, nei panni di Tristram Shandy, si rivolge più volte nel corso del film allo spettatore sia un espediente pensato da Mark, il regista del film-nel-film, o se non sia piuttosto una trovata di Winterbottom per confondere le acque.
Alcuni indizi sembrerebbero in effetti avvalorare la seconda ipotesi, come il fatto che nei giornalieri che vediamo non appaia mai questo Steve “narratore”; oltretutto l’idea che sentiamo esposta subito prima dell’incontro tra Steve ed il vero Tony Wilson – quella di girare una scena piazzando parte della troupe in campo, sullo sfondo – è un chiaro segno della volontà di rimescolare le carte."