Considerata la produzione più rapida del regista, il film conclude la trilogia dell'appartamento della quale fanno parte i precedenti Repulsion (1965) e Rosemary's baby (1968).
Anche quest'ultima sceneggiatura propone la storia di un inquilino, Monsieur Treckowski (Roman Polanski), interessato ad un appartamento di tre stanze in un quartiere popolare di Parigi, abitato, fino a poco tempo prima, da Simone Choule, morto suicida gettandosi dalla finestra. Viene ripreso lo schema degli altri due film della trilogia: la presenza di un precedente inquilino/a straniero/a, un appartamento e la difficoltà indotta nello spettatore nel riuscire a comprendere se gli avvenimenti siano frutto del reale o la proiezione delle turbe di una mente malata.
Possiamo però notare due differenze: in primo luogo il protagonista è un uomo e non una donna (Carol in Repulsion e Rosemary in Rosemary's baby), inoltre diverso è il trattamento dello spazio. Mentre nelle prime due pellicole gli avvenimenti si esplicano principalmente nello spazio chiuso dell'appartamento, habitat naturale e prigione delle protagoniste, in questo caso il racconto fuoriesce dalle mura dell'abitazione penetrando nei cafè ed in altri appartamenti, tutti luoghi nei quali si riflette il malessere del protagonista a seguito della sovrapposizione di esso con l'inquilina precedente da parte di chi la conosceva personalmente.
L'uomo, recatosi in ospedale per far visita a Simone, s'imbatte in Stella (Isabelle Adiani), legata all'inquilina da una relazione omosessuale. Tra i due nasce un'attrazione. Nel frattempo la paura di non recare disturbo ai vicini diventa una vera e propria ossessione: silenziose visioni appaiono dalla finestra del cortile, tutte mostrate in soggettiva. Entriamo così nella mente di Treckowski ma non riusciamo tuttavia a coglierne il punto di vista: esso rimane esterno.
In lui è in atto un pericoloso processo di sdoppiamento della personalità, attraverso la quale l'uomo compie una meta-riflessione che farà emergere i suoi fantasmi interiori: questi ultimi appaiono dinnanzi agli occhi dello spettatore. L'uomo inizia così a nutrire dei dubbi sul conto di Stella: giunge a convincersi sempre più che l'amico di Simone faccia parte del complotto insieme ai vicini. Pensa così di assumere l'identità di Simone ricorrendo a rossetto e smalto di colore rosso acceso e indossando inoltre una parrucca rossiccia, il tutto per esternare una femminilità ideale mai raggiunta da Simone ma, probabilmente, sempre desiderata.
Come nel prologo di Romeo e Giulietta, viene ripreso il tema del death-marked love: l'uscita di scena dell'eroe, attraverso una morte simulata, è condizione necessaria per l'espiazione del senso di colpa nutrito dall'uomo, il quale considerava la sua entrata nell'appartamento come causa della morte della ragazza.
Il tema dell'autoriflessione è ripreso dallo spazio, prolungamento ideale del corpo: i due specchi, presenti agli angoli della camera, creano linee diagonali che costringono il protagonista, anche se non vuole, a vedere il proprio doppio allo specchio.
Dal punto di vista sonoro, il commento musicale è affidato a Philippe Sarde: il suo compito è accordare il suono alle apparizioni fantasmatiche, interrompendo le melodie nei momenti di maggiore pathos lasciando così parlare le immagini.
Diversa anche l'intensità delle urla: se all'inizio l'urlo si frammenta in una serie di echi successivi, nell'ultima scena l'urlo è continuo e di grande forza, capace di raggiungere lo spettatore violentemente.
L'inquilino del terzo piano si caratterizza come film introspettivo: sono gli anni in cui Polanski riscopre la sua città natale. Se non fosse che il regista stesso ha negato più volte il fatto che la sceneggiatura contenga elementi autobiografici, potremmo azzardare un parallelismo tra l'appartamento e la città natale: in esso il protagonista compie un percorso a ritroso nei propri ricordi, facendo emergere i fantasmi che si concretizzano agli occhi dello spettatore nelle figure dei vicini immobili che spuntano dalle finestre circostanti. Si tratta di un viaggio nel proprio io nel quale è possibile scoprire che è necessario, talvolta, far morire una parte di noi per rinascere e guardare al futuro.