Come ci suggeriscono le didascalie finali, il capitale umano è la definizione del rimborso con il quale le compagnie assicurative stabiliscono il risarcimento del danno quando una persona subisce un incidente.
Le variabili che determinano il risultato finale sono molteplici, per esempio l’età anagrafica, le aspettative di vita, la professione, la condizione sociale, le condizioni di salute della persona, la tipologia dell’incidente. Insomma un puro calcolo, una fredda formula matematica per determinare quanto vale la vita di un essere umano.
Prendendo spunto dal romanzo di Stephen Amidon, il nuovo film di Paolo Virzì ambienta l’azione dal Connecticut del romanzo alla Brianza. Forse gli sceneggiatori avranno pensato a Lucio Battisti che in Una Giornata Uggiosa cantava:

Sogno il mio paese infine dignitoso
e un fiume con i pesci vivi a un'ora dalla casa
di non sognare la Nuovissima Zelanda
Per fuggire via da te Brianza velenosa


Ma la Brianza è soltanto uno spunto, un pretesto per raccontare l’Italia di oggi. Probabilmente tutti i luoghi dove il denaro si muove con una certa facilità si somigliano, visto che è un ricco stato del New England a fare da sfondo alla vicenda nel romanzo. Tuttavia, la sensazione che si ricava dal film è quella di un paese dove quasi tutti i rapporti umani sono determinati dal denaro, in cui tutti hanno un segreto da nascondere e niente è come appare.
Ma questa deriva va a intaccare soprattutto i rapporti familiari: nessuno è più in grado di comprendere quello che sta accadendo ai propri figli o ai propri genitori. Ognuno è concentrato soltanto su se stesso e, più la volontà di arricchirsi diventa spasmodica, più il senso ultimo della vita si allontana dagli individui.
A unire il filo del racconto c’è un fatto di cronaca: qualcuno ha investito un uomo in bicicletta di notte, lasciandolo morente sul ciglio della strada, ed è fuggito senza prestare soccorso. Nessuno sembra essere innocente e Virzì, con i suoi sceneggiatori Francesco Piccolo e Francesco Bruno, per svelare il mistero ci presenta gli antefatti che producono la vicenda suddividendo il racconto in quattro capitoli, quattro microstorie di cui è protagonista un unico personaggio.
E, man mano che la vicenda si dipana e i personaggi e le loro storie vengono raccontate, ci si rende conto che ciascuno vede soltanto quello che vuole vedere senza mai domandarsi quello che sta veramente succedendo.
La distorsione della realtà è ben rappresentata dal modo in cui il regista riprende la stessa scena a seconda del personaggio che viene mostrato, dalla particolare angolatura attraverso cui il protagonista vede le cose.
In questa irrealtà le persone vivono un simulacro di vita. L’amicizia, la capacità di comprensione, la solidarietà e il senso della misura non esistono più.
Tutto si riduce a quanto si può guadagnare, ai soldi che si possono fare, a quanto si può estorcere agli altri.
Il film, da questo punto vista, non lascia molte speranze: alla fine chi paga per tutti, chi subisce le conseguenze peggiori sono sempre le persone che stanno ai margini, che il mondo fatto di lustrini lo sfiora soltanto.
Chi ha i privilegi della ricchezza o chi vorrebbe ambire a quei privilegi (seppure nel modo più meschino possibile) non viene scalfito e con il tempo tutto si aggiusta e rientra nel solito alveo di finzione e di ipocrisia.