La vita di Adele di Abdellatif Kechiche è il film vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2013.
Ma, se è vero che il cinema è come la vita senza le parti più noiose, probabilmente Alfred Hitchcock avrebbe tagliato almeno un’ora e mezza della durata complessiva di questo film che è di circa tre ore.
Volendo fare un breve riassunto della trama, il film racconta l’evoluzione di una storia d’amore nel corso del tempo che, anziché essere tra un uomo e una donna, è tra due donne.
Ma tutte le dinamiche sono quelle tipiche di una classica storia d’amore che è stata rappresentata in innumerevoli occasioni al cinema. L’aspetto inconsueto è la presenza di scene di sesso molto lunghe, reiterate e molto realistiche, che fanno credere che le protagoniste sul set non si siano limitate a recitare.
Tuttavia, questo rapporto ossessivo tra le due donne è anche il limite principale del film. Per tutta la sua lunghezza, Adele (Adèle Exarchopoulos) e Emma (Léa Seydoux) sono sempre in scena e il loro rapporto è sviscerato in tutte le sue fasi: dall’innamoramento alla convivenza, dall’inevitabile crisi al tradimento e al momento drammatico in cui si lasciano. Infine, il fallito tentativo di riconciliazione chiude il film.
In tre ore si potevano sviluppare molte tematiche, per esempio i rapporti con i compagni di scuola di Adele, quello con i rispettivi genitori, l’interazione delle protagoniste con l’ambiente esterno, gli amici che ruotano intorno alle loro vite… Tutto è soltanto accennato e poi si perde per strada.
Lo stile di realizzazione è quello tipico dei fratelli Dardenne: intensi primi piani, camera a mano che insegue le protagoniste, inquadrature essenziali. Tuttavia Kechiche è meno intransigente dei Dardenne, è meno dogmatico, perché ci sono anche movimenti di macchina, seppur molto limitati, che non incidono significativamente sullo stile narrativo; c’è un po’ di commento sonoro, la fotografia è molto luminosa.
Dopo avere visto i film vincitori nel 2013 della Palma d’oro a Cannes e del Leone d’Oro a Venezia (Sacro Gra di Gianfranco Rosi), cioè i due festival più prestigiosi del mondo, si può affermare che in entrambi i casi si tratta di film ben fatti, ottimamente recitati (anche se Sacro Gra non è fatto con attori professionisti, ma con persone vere che comunque recitano sulla base di dialoghi scritti), sono sicuramente film originali, in alcune parti emozionanti e a volte commoventi, ma non sono film che rivoluzioneranno la storia del cinema.