Cos’è lo stereotipo?
Un’idea, un giudizio che si forma in seguito ad osservazione del mondo, un pregiudizio? Forse tutte e tre le cose.
Tutti abbiamo schemi mentali attraverso cui, tutto sommato, ci orientiamo meglio nel nostro tran tran quotidiano; e che essi siano veri o falsi, corrispondenti al reale oppure no, giustificati o almeno giustificabili il più delle volte, ammettiamolo, poco importa. Ci sono funzionali a vivere con un margine di certezza in più, e che tale certezza si fondi su un falso mito, all’interno della nostra quotidianità, fa assai poca differenza!
Potrei definire lo stereotipo come una sorta di schema mentale che reiteriamo ogni volta che la realtà ci pone di fronte a situazioni che non siamo o non siamo del tutto in grado di affrontare in modo logico e razionale, senza condizionamenti e pregiudizi. Per semplificare: la maggior parte delle volte che la realtà ci mette in crisi, anziché cercare una spiegazione nuova, risulta assai più facile riproporre uno schema già noto e che ci dà un’illusione di stabilità. Questo è lo stereotipo.
Ed è arrivato anche al cinema e paradossalmente lo ha portato in scena uno dei registi ritenuti tra i più anticonvenzionali nel panorama contemporaneo: Woody Allen.
Il lungometraggio che analizzerò è Match Point, una delle pellicole più apprezzate dal pubblico, tra l’altro.
La trama in breve: classica famiglia “bene” appartenente alla classe alto-borghese, giovane coppia sposata da non molto, lei molto innamorata, lui innamorato della carriera e dell’idea di una vita piena e appagante sotto tutti i punti di vista.. il che comprende, inevitabilmente, la presenza di un’amante bella, sexy, avvenente e disponibile.
Ecco dove entra lo stereotipo. La figura della moglie e dell’amante devono essere ben distinte e ciò non perché la moglie non sia bella, disponibile o sexy, ma nella mente del giovane uomo (forse rimasto ancora parecchio bambino) l’idea della moglie non corrisponde a questo. La moglie è la tranquillità, la stabilità, la famiglia, la donna da cui avere tanti figli.
L’amante, al contrario, rappresenta la trasgressione, il disordine, l’evasione dalla rigidità quotidiana, dalla perfezione della famiglia borghese (perfezione non imposta, ma voluta e ricercata, paradossalmente).
E poco importa se nella realtà moglie e amante siano due giovani e belle donne assai più simili tra loro di quanto si pensi; nella mente dell'uomo esse sono quanto di più diverso e distante possa esistere e, soprattutto, diversissime e distanti devono restare, altrimenti egli va in crisi, la sua stabilità mentale, la sua tranquillità vengono meno, le sue piccole certezze quotidiane, su cui ha costruito la sua vita, crollano.
Nel film accade proprio questo: l’amante, inaspettatamente rimane incinta. Fino a qui nessun problema, il coniuge fedifrago si aspetta che la donna interrompa la gravidanza.
La crisi subentra di fronte al rifiuto della donna di abortire e, soprattutto, di fronte alla sua manifesta intenzione non solo di tenere il bambino, ma anche di costruire una famiglia e, pertanto, di abbandonare il ruolo di amante per diventare moglie e madre.
È a questo punto che il protagonista maschile entra in crisi: i suoi schemi mentali traballano, le sue certezze cominciano a tremare, lo stereotipo moglie=famiglia e amante=trasgressione senza impegno si sta rivelando falso.
Il tragico finale a scapito dell'amante rivela l’incapacità dell'uomo di riadattare i propri schemi mentali in funzione di una situazione nuova e inaspettata, l’incapacità di far fronte a nuove esigenze.
Il protagonista, infatti, dimostra tutta la sua immaturità psicologica nel preferire piegare la realtà al suo stereotipo piuttosto che provare ad affrontarla e cercare una soluzione di fronte ad un problema nuovo e fino ad allora sconosciuto. In un certo senso è come se avesse voluto “rimettere a posto” la realtà costringendola dentro il suo stereotipo, correggere un errore reale e riportare tutto alla normalità tracciata dai suoi schemi mentali.