"Nonostante la tradizione letteraria portasse avanti già da anni l’immagine stereotipata e mortifera della città, toccando l’apice proprio alla vigilia della Grande Guerra con la pubblicazione del Manifesto di Marinetti (che proponeva di “colmare i piccoli canali puzzolenti con le macerie dei vecchi palazzi crollanti e lebbrosi”) e di "Morte a Venezia" (1912) di Thomas Mann, la trasposizione del mito della decadenza e della morte di Venezia si afferma al cinema solo nel secondo dopoguerra, parallelamente alla raffigurazione ottocentesca della città. I termini cardine sono, non a caso, i due film di Luchino Visconti, Senso e Morte a Venezia, apparsi rispettivamente nel 1954 e 1971.
Molto si è detto e scritto su Senso, un capolavoro che non ha certo bisogno di presentazioni. Qui è opportuno sottolineare la valenza che assume la figura della contessa Serpieri, che rispecchia fedelmente la decadenza dell’artistocrazia veneziana e della sua tragica contraddizione, in bilico tra la fuga, la dedizione e il tradimento.
Venezia è specchio fedele dell’animo della protagonista, città doppia, ambigua, in bilico tra dominazione austriaca e risorgimento italiano, tra passione amorosa e politica e decadenza di valori e principi morali. Sedici anni dopo Visconti torna in un’altra Venezia, non fosse altro che per quella ben diversa descrizione del Ghetto rispetto all’incontro notturno di Livia e Franz.
Non c’è più quell’ambiguità, quell’incerta lotta tra vitalismo e decadenza che caratterizzava Senso. Morte a Venezia (1971) assume un significato che va al di là della storia, e non solo quella del 1911, che costituisce il contesto di sfondo.
Il Ghetto ebraico è diverso, profondamente differente è l’accompagnamento musicale, dalla settima sinfonia di Bruckner alla terza e quinta di Mahler, più morbosa è la crisi dei personaggi, che li colpisce nell’anima. Venezia, così come Aschenbach, è agonizzante, stremata dalla malattia, corrotta nel corpo e nell’anima e ormai in punto di morte.
Il film diventa allora un’ideale cerniera tra la concezione decadente di Venezia tardo ottocentesca, letteraria e filosofica, e quella più recente, ormai strumentalmente mitizzata."