In questi giorni, segnati dall’ennesima tragedia di Lampedusa, esce nelle sale il film Black Star – Nati sotto una stella nera, una storia di emigrazione e di riscatto, ottenuto grazie allo sport più amato dagli italiani.
Il regista Francesco Castellani (già autore del documentario e della serie tv “Liberi Nantes Football Club”) racconta, in un nuovo formato, la vicenda del “Liberi Nantes Football Club”, una squadra di calcio formata da migranti forzati, arrivati in Italia per sfuggire alle guerre e alle persecuzioni.
La vicenda reale inizia nel 2007, quando alcuni ragazzi di Roma decidono di coinvolgere nella propria squadra di calcio alcuni ragazzi dei centri d’accoglienza, provenienti per la maggior parte da paesi africani: da questa iniziativa nasce la Liberi Nantes Football Club, squadra che milita nel campionato di terza categoria fuori classifica, grazie ad una deroga della Federcalcio che le permette comunque di giocare (nonostante il superato limite di giocatori extracomunitari), dimostrando in questo modo che, a volte, nel calcio esista qualcos’altro oltre al risultato.
Sfidando le notizie di stretta attualità (sbarchi a Lampedusa, cori razzisti, chiusura degli stadi), il film arriva nelle sale: un segnale di come il calcio possa e riesca a essere uno dei maggiori strumenti di aggregazione, contro ogni tipo di discriminazione.
Con l’espediente narrativo di un ordine di sgombero dal campo d’allenamento (bisogna ricordare che il film non è un documentario, ma un’opera di finzione che sviluppa l’intreccio a partire da un soggetto reale), “Black Star” cerca di raccontare per sommi capi le vite che si intrecciano in questo progetto, dai migranti in cerca di un futuro migliore agli stessi ragazzi di Roma che hanno donato loro una possibilità di riscatto.
L’aspetto positivo della vicenda in questo caso si riscontra nella realtà e non nella finzione cinematografica: ogni organismo si è impegnato affinché questo progetto venisse attivato, con l’aiuto sia del Comune che della Regione (volontà non riscontrata nel corso del film).
Castellani sottolinea l’importanza della condivisione, del campo di gioco come delle singole vite. Il dramma dei rifugiati a tratti è simile a quello di chi vive la povertà della periferia romana e la disoccupazione: una “guerra tra poveri”, dove il campo di gioco diventa metafora della battaglia quotidiana per la sopravvivenza.
Esiste il dramma dei migranti, come esiste quello degli italiani che lottano per un futuro. Due lotte apparentemente agli antipodi, ma in realtà simili nella costanza e nella determinazione necessarie per raggiungere una dignità sociale: lo scontro sul campo di gioco deve essere il punto di partenza per la cooperazione di entrambe le parti e per un riscatto comune.