In tutte le storie d’amore e condivisione profonda non è mai facile capire quanto l’altro ci abbia influenzato in quello che siamo diventati e quanto invece già avevamo in germe, quelle caratteristiche che proprio per questo abbiamo amato nell’altro e coltivato in noi stessi.

Kubrick legge Schnitzler quando è solo un giovane fotografo illetterato e si innamora della sua Traumnovelle, di un amore che durerà tutta la vita.
La guarda nell’intimo, ne coglie le caratteristiche più significative e se ne innamora profondamente ed esattamente per quello che è. Non tanto per il suo essere una sorta di precursore letterario della psicanalisi, non per il bel ritratto impressionista della Vienna inizio XX secolo, non per l’alone lascivo: forse anche per questo, ma per molto altro ancora.
Da allora inizia a fantasticare su di lei e quando intraprende la carriera di cineasta pensa e ripensa all’idea di portarla sullo schermo. Ma per un motivo o per l’altro ciò non avviene fino al 1999.
Forse solo allora i tempi sono maturi e con l’esperienza accumulata e una visione unitaria del cinema e del mondo il regista si decide a chiudere i conti con la Traumnovelle. Due anni di riprese, condizioni di lavoro estenuanti per gli attori e la troupe intera e quando il lavoro è ormai praticamente concluso muore in sala montaggio, davanti alla sua opera ultimata.


Trasposizione della vicenda letteraria
Nell’opera del regista la letteratura ha sempre avuto un ruolo importante, tutti i suoi film prendono spunto da novelle o romanzi, quando non si tratta di film storici.
Senza alcuna eccezione si è sempre trattato di sottilissimi spunti, di canovacci su cui posare qualcosa di meramente personale e creativo, in cui la fedeltà al testo di partenza è rintracciabile solo in alcuni esili aspetti che non coincidono mai con le caratteristiche pregnanti dell’opera filmica né tantomeno di quella letteraria.
Anche Eyes wide shut sembra a prima vista caratterizzato da una distanza non irrilevante rispetto al testo scritto: la trasposizione delle vicende in uno spazio-tempo diversi, l’aggiunta di un intero segmento temporale, il cambiamento di alcune organizzazioni spaziali in cui le vicende hanno luogo, perfino l’inserimento di un nuovo personaggio.

Ad uno sguardo più attento ci accorgiamo, però, che questi cambiamenti stravolgono il testo di partenza solo superficialmente, ma sono anzi funzionali a creare effetti di senso simili, per magnificare quello che è il significato profondo della Traumnovelle, che Kubrick fa intimamente suo.

Ci accorgiamo che il trasferimento delle vicende dalla Vienna fin de siecle alla New York della fine del secolo successivo produce un simulacro spazio-temporale realistico - grazie ai riferimenti riconoscibili, agli arredi... -, in cui lo spettatore si identifica con facilità, esattamente come fece il lettore di Schnitzler a suo tempo.

Accanto a questo referente reale, convivono in entrambe le opere espedienti che ne minano la verosimiglianza in modo radicale, in una tensione continua che non permette mai al lettore/spettatore di decidersi per la matrice reale o per quella onirica del testo.


Lo spazio
Il film tende a mettere in crisi la matrice realistica dell’ambientazione soprattutto a livello spaziale, dove la novella si concentra sulla temporalità. Il film è costretto a mostrare tutto e non solo a fornire descrizioni dello spazio quando lo ritiene opportuno: Kubrick ne sfrutta allora le potenzialità.

Gli spazi di Eyes wide shut sono puntellati di piccoli cortocircuiti che rimandano ad una cultura altra rispetto a New York, quella middle europea, attraverso nomi di personaggi e riferimenti vari (Millich, Ziegler, la bambola Sabrina, il riferimento allo Schiaccianoci, il Sonata Cafè..).
E poi c’è l’ambientazione del bar in cui il protagonista si rifugia a leggere il giornale che potrebbe essere un tipico bar della Vienna di Schnitzler.
Una matrice onirica propria dell'illo tempore della favola convive con quella prettamente realistica, sottolineando la valenza assoluta delle vicende: è messo in scena uno status del reale che va al di là dello spazio e del tempo, una storia di cui può essere protagonista qualsiasi uomo in qualsiasi epoca.
Il fatto di avere luogo in uno spazio-tempo contemporaneo e usuale aiuta lo spettatore/lettore ad identificarsi e a guardare alle vicende come se lui stesso ne fosse il protagonista.

Questa è una caratteristica fondamentale della novella di Schnitzler.
Essa non sconvolge tanto per i temi del tradimento, del sesso come liberazione degli istinti, temi per altro scabrosi più nella Vienna di Schnitzler, frivola e dedita all’abbattimento di ogni tabù, che non nella New York odierna.
Il significato profondo che veicola consiste nell’ambiguità dell’essere, un’ambiguità assoluta che impregna ogni aspetto del reale e che sconvolge in quanto tale.

Nulla è spiegabile in modo razionale e univoco, il reale è ambiguo, l’uomo è ambiguo. Sconvolge i protagonisti della storia e i lettori/spettatori soprattutto perché loro stessi e i loro mondi non ne sono immuni: nessun luogo è sicuro, anche in quelli familiari si insidia l’incertezza inalienabile, gli opposti convivono, all’interno del familiare si insidia l’ignoto.

L’aggiunta nel film del personaggio di Ziegler che sembra dare una spiegazione ad eventi altrimenti irrisolti, tradimento importante della novella, non fa che amplificare questa ambiguità. Il personaggio dà infatti una spiegazione solo apparente dei fatti, personificando quella necessità umana di arginare il caos, che necessariamente si perde nell’incompiutezza perché l’intrinseca ambiguità del reale non permette mai spiegazioni razionali definitive.


La regia
Attraverso le potenzialità proprie del linguaggio cinematografico e la sua particolare visione del cinema, il regista si spinge oltre il lavoro di Schnitzler: l’ambiguità viene estesa allo stesso discorso filmico.
Lo stile di regia modellato sul regime cinematografico classico, che fa della continuità e della coerenza il suo punto di forza si inceppa in alcune zone, violando deliberatamente alcune delle regole del montaggio classico, come quella dei 180°. Kubrick opera più volte quello che tecnicamente è denominato “scavalcamento dell’asse”, in cui gli stacchi di montaggio collegano due punti specularmente opposti.
Questi raccordi sbagliati procurano allo spettatore una lieve ma istantanea idea di salto nella continuità della rappresentazione classica, creando un effetto straniante.

Un altro espediente è l’uso dell’interruzione brusca: in alcuni casi le immagini del film vengono interrotte e sottratte bruscamente agli sguardi dello spettatore. Quelle che sembrano oggettive si rivelano a posteriori soggettive del personaggio, per non parlare dell’uso particolare delle dissolvenze incrociate, che legano brevi ellissi temporali quando lo spettatore è abituato a considerarle come indicative di un salto temporale più rilevante.


Il colore
Kubrick fa lo stesso anche a livello plastico: all’opposizione semantica certo/incerto fa corrispondere quella cromatica tra luce calda e luce fredda, l’una associata alla sicurezza degli ambienti interni, l’altra all'incertezza di quelli esterni, secondo un sistema simbolico che si rivela costante e preciso.

Il nido domestico appare puntellato di tante abatjour che emanano una luce calda e giallastra.
La luce bluastra irrompe dall’ambiente notturno e va ad invadere l’ambiente famigliare in momenti narrativi particolari, in cui l’incerto si fa strada nella vita di coppia invadendo il sicuro nido domestico; oppure svolge un ruolo di anticipazione quando non invade prepotentemente l’ambiente casalingo ma si lascia solo intravedere.

Viene creata poi un’altra opposizione cromatica, che complica quella esposta sopra.
I colori rosso e blu si presentano ossessivamente nel film, costantemente e insistentemente giustapposti e riproposti come dominanti cromatiche univoche degli oggetti, delle macchine, delle cassette della posta e di quasi ogni cosa che compare nel quadro filmico.
Tale caratteristica è fortemente presente anche nell’ambiente domestico con numerosi elementi scenografici rossi (tende, tappeti, copriletto, tovaglie, divani), che contrastano sensibilmente con la luce azzurro-viola che entra dalle finestre.

Ora a questa opposizione non può che esservene associata una semantica: le tonalità del rosso indicano una situazione esistenziale in cui è presente il perturbante, il misterioso, il demoniaco, mentre alla luce bluastra che entra dalle finestre è ancora associato il significato di ignoto e incerto.
La dicotomia rosso/blu, due facce della stessa medaglia, diventa così portatrice di un unico significato: l’ambiguo.
All’opposizione luce calda/fredda che simboleggia l’intrusione dell’incertezza dell’esterno nell’ambiente interno, si associa la dominante cromatica rossa, che, pervadendo anch’essa lo spazio interno, rende l’assoluta contiguità tra interno ed esterno e la conseguente impossibilità di assegnare a certezza e incertezza delle collocazioni nettamente separate: nello stesso spazio convivono elementi opposti che si fronteggiano in una tensione continua.


Il tema dell’ambiguo, significato portante dell’opera letteraria, è quindi magnificato (per usare un’espressione mutuata dalle teorie sulla traduzione) a 360° nel film. Magnificarlo a livello del discorso cinematografico stesso significa per Kubrick andare oltre il lavoro di Schnitzler, seppure in linea con la struttura profonda della sua novella.

Eyes wide shut é un mirabile esempio di trasposizione cinematografica fedele, che utilizza le specificità proprie del nuovo mezzo e apporta delle modifiche che non sono altro che ulteriori elementi funzionali per renderne con fedeltà il significato profondo.
L’ultimo film di S. Kubrick rende giustizia all’amore fino ad allora platonico per la Traumnovelle.
Il regista condivideva con lo scrittore quelle che erano le sue più ferree concezioni artistiche e tematiche: l’ambiguità del reale, il tema del doppio ad essa connessa, dell’onirico, la concezione ciclica del tempo e catartica dell’arte. Una condivisione di intenti decisamente fuori dal comune.