Senza avere presunzione di esclusività nel porre l’accento sull’aspetto musicale della filmografia di Stanley Kubrick, intendo presentare un estratto dalla mia Tesi di Laurea “Il linguaggio musicale in Stanley Kubrick: ricerca di una metodologia”.
Tra gli spetti peculiari dello stile kubrickiano risalta la tendenza costante nell’utilizzo di musiche preesistenti per i commenti sonori dei suoi film, senza distinzioni tra musica “colta” e musica “popolare”, riducendo ad un numero esiguo i casi in cui il regista si avvalse di musiche composte ad hoc per i suoi lungometraggi. Pur essendo questo un argomento già affrontato nell’ambito della critica cinematografica, ho cercato di interpretarlo sotto un’ottica di natura musicologia.
Partendo dai primi documentari e giungendo ai film preminenti dell’autore americano, scopo della mia tesi è stato focalizzare l’attenzione sulle attinenze tra le caratteristiche dei film e le peculiarità estetiche, storiche e tematiche originarie dei brani musicali in essi citati. Tutto quello che è stato scritto su questo argomento è stato limitato ai confini narrativi dei film, tacendo delle caratteristiche originarie dei temi musicali in essi citati, considerandoli esclusivamente nella loro transcodificazione cinematografica.
Ricontestualizzando le innumerevoli citazioni delle musiche dei vari Beethoven, Richard Strauss, Rossini, Ligeti, al fine di rivelare cosa fosse sopravvissuto delle loro peculiarità intrinseche nell’adattamento cinematografico, ho potuto dimostrare l’esistenza di una “metodologia” attenta e consapevole del regista negli abbinamenti audio-visivi. Una consapevolezza giustificata dalla sua ben nota dilezione in materia musicale, nonché dalle sue numerose testimonianze sull’importanza della colonna sonora nell’arte cinematografica.
Dovendo riportare una delle numerose analisi comparate che ho condotto, ho optato per una delle citazioni musicali più note, contenuta nel film che ha sancito contemporaneamente il suggello di Kubrick come regista e come “musicologo” secondo la prospettiva analitica qui proposta.


2001: Odissea nello Spazio

Così parlò Zarathustra (Richard Strauss)


L’opera 30 Also sprach Zarathustra fu composta a Monaco tra il 4 febbraio e il 24 Agosto 1896, ed eseguita per la prima volta il 27 novembre 1896 al Museum di Francoforte sul Meno sotto la direzione dello stesso Strauss.
Appartenente alla categoria dei poemi sinfonici, rientra nella prima fase stilistica dell’autore tedesco, nella quale abbondano partiture inerenti a questo genere […]. Fonte di ispirazione di Richard Strauss fu il celeberrimo trattato filosofico di Friedrich Nietzsche “Also sprach Zarathustra, ein Buch fur alle und keinen” (Così parlò Zarathustra, un libro per tutti e per nessuno), scritto tra il 1883 ed il 1885 […].
“Liberamente ispirandomi a Nietzsche” specifica nel sottotitolo del suo poema sinfonico Richard Strauss, cercando di rendere in musica un linguaggio già musicale di per se, assoluto, metaforico, e quindi propenso ad un riadattamento in termini esclusivamente sonori. Rielaborare in musica questo testo, significava plasmare la materia di un autore spesso coinvolto in argomentazioni sull’arte dei suoni […]. Tutta la struttura di questo poema sinfonico è caratterizzato da due temi cardini, a cui wagnerianamente sono associati due distinti significati:
I. Tema della natura ( DO +)
II. Tema dell’aspirazione suprema (SI +)

Per il suo film fantascientifico Kubrick ricorse esclusivamente alla overture qui di seguito analizzata.
Analisi
Con pieno sfruttamento del vastissimo organico orchestrale a sua disposizione, Strauss utilizza le caratteristiche timbriche e coloristiche che solo un così vasto e variegato numero di strumenti può permettere (oltre al consueto organico da sinfonia, la grande orchestra concepita per questa partitura prevede 6 corni, 2 bassi-tuba, 1 clarinetto basso oltre ai 3 tradizionali, una campana grave in MI, Glockenspiel e l’organo). In uno spazio relativamente breve quali le 22 battute entro cui l’overture si evolve, Strauss riesce ad esprimere la potenza di un simile insieme mediante graduali variazioni dinamiche, tutte tendenti all’esplosione conclusiva, attraverso un linguaggio semplice melodicamente, quasi elementare e tribale nelle sue pulsioni ritmiche.
Tutto ha inizio con un quasi impercettibile suono grave e remoto di rullio della grancassa percosso con bacchette di timpano, coadiuvati da un pedale grave e tenue dei controfagotti, dell’organo e dei contrabbassi sulla nota di DO. Un inizio così flebile da creare una sorta di continuità con il silenzio che lo precede; è come se il silenzio, la sospensione, l’attesa fossero parte integrante delle prime battute.
Da questo grado zero sorge il motto scandito dalle quattro trombe: DO3, SOL3, DO4, MI4, MIb4. L’efficacia di questo tema lapidario sta proprio nella sua elementarità, perché in queste poche note e nell’evoluzione di questa overture sono racchiusi i principi base, gli stilemi della musica occidentale.
Innanzi tutto la tonalità, che per quanto possa apparire un aspetto convenzionale in musica (quello che rende peculiare un tema sono i rapporti intervallari interni e non la loro frequenza), rappresenta sempre una scelta aprioristica e significante per un compositore. Siamo inizialmente in tonalità di DO, la scala diatonica per eccellenza, composta dai soli toni naturali (le note bianche della tastiera del pianoforte), la prima scala su cui si muove ogni musicista (anche se alcune culture come quella anglosassone vedono il LA, da loro denominato A, come prima nota, non bisogna dimenticare la nomenclatura di Guido d’Arezzo da cui le note prendono nome per le culture latine).
I gradi fondamentali su cui si poggia il tema d’apertura sono le cellule di ogni principio armonico: Tonica (DO), Dominante (SOL), Tonica (DO all’ottava), perfettamente speculari tra loro in quanto leggibili anche in maniera inversa, rappresentano il tema della natura. Questi gradi formano una quinta vuota, o un accordo sospeso se si preferisce, a cui si aggiungono improvvisamente due note quasi inaspettate, con un repentino sbalzo dinamico verso il forte. Il MI prima e il MIb dopo (l’unica nota alterata), attribuiscono repentinamente quello che mancava per completare l’accordo e per continuare l’esposizione dei fondamenti base della musica: i Modi maggiore e minore. Le terze, prima celate, appaiono inaspettatamente e, cosa ancora più insospettabile, in una frazione di secondo si modula dalla tonalità maggiore a quella minore, ponendo di fronte quelle due singole note che determinano l’appartenenza ai due colori contrastanti della musica, il bianco e il nero, il rovescio della stessa medaglia. In poche battute è esposta la storia della musica.
Questo modello si ripete per tre volte consecutive con lievi modifiche, inframmezzate dalle singole pulsioni in ottavi di due timpani accordati sempre sul rapporto Tonica (DO), e Quinta (SOL). Perciò il tre, numero base della musica, è citato oltre che nell’uso della triade fondamentale, anche nella struttura del brano. Nella seconda ripetizione di questo modulo viene invertita la modulazione da minore a maggiore, quindi si passa prima per il MIb e poi per il MI naturale; nella terza si sale al LA, il sesto grado.
Il tema si conclude avviandosi verso il climax finale, passando momentaneamente alla tonalità di FA, per poi sfociare con un moto contrappuntistico verso la tonalità originaria, con un classico movimento di cadenza per moto contrario. Sulla stretta finale sopravvive per pochi istanti l’accordo tenuto dell’organo, che permette all’aura del suono orchestrale di sopravvivere a mo di reverbero naturale, sfruttando genialmente le timbriche a propria disposizione.

In relazione al film
Nella nostra analisi siamo di fronte ad un singolare caso di commistione di differenti linguaggi artistici, concatenati tra loro:


A
LETTERATURA
(filosofia)

B
MUSICA
(poema sinfonico)

C
CINEMA
(fantascienza)


Anche se nella prima codificazione da A a B assistiamo ad una rielaborazione concettuale, mentre da B a C si preleva esclusivamente “l’essenza musicale” decontestualizzata, si possono ritrovare elementi comuni tra A e C con conseguente coerenza stilistica tra B e C.
Tutta l’interpretazione fatta da Strauss del libro di Nietzsche è in fondo racchiusa sinteticamente nel preludio carpito da Kubrick per il suo film. Esso è la rappresentazione simbolica dell’alba come suggerisce tutta la struttura musicale, partendo da zero ed esplodendo con una sorta di irradiazione solare, a cui il suono conclusivo dell’organo permette di diffondersi e sopravvivere. “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche si apre con l’alba che è al contempo il parallelo del tramonto a cui il saggio ambisce rivolgendosi al sole: “devo scendere giù in basso (...) Anch’io devo, al pari di te, tramontare, come dicono gli uomini, ai quali voglio discendere (...) Così cominciò il tramonto di Zarathustra” .
Con perfetta coerenza il “2001” di Kubrick esordisce con una sorta di alba spaziale, così come L’alba dell’uomo è il primo capitolo del film.
In Nietzsche scopriamo che l’uomo è un ponte tendente a qualcosa di nuovo, il superuomo, e la realizzazione di questa evoluzione verso una nuova razza sarà la tappa conclusiva dell’odissea kubrickiana rappresentata dal feto astrale, la cui nascita sancisce conseguentemente la conclusione dell’era della razza umana.
La struttura tripartita (tanto cara al cineasta in questo come in molti altri film) rappresentata in apertura dall’allineamento di Luna, Terra e Sole, fa eco con la speculare tripartizione del Tema della natura di Strauss - DO, SOL, DO - rilevata precedentemente (altrettanta specularità è attribuibile ai tre pianeti legati tra loro per la continuazione della specie umana sul pianeta terra, per cui essa è la Dominante in posizione mediana, e i due astri le Toniche).
Numerose sono le concordanze tra lo stile cinematografico del film e le caratteristiche musicali di questo tema. L’esordio visivo sul nero assoluto dello spazio dopo il simbolo della MGM è echeggiato dal grado zero del rollio dei timpani e del flebile pedale orchestrale di DO; il movimento verso l’alto dell’inquadratura, inoltre, è in linea con l’ascensione costante del tema di Strauss.
Tre volte (ancora il numero perfetto) verrà esposto questo tema nel film, legandosi ancora concettualmente con il testo di Nietzsche, e stilisticamente con la musica di Strauss. Nella settima sequenza (seconda citazione del tema), l’evoluzione dell’ominide conseguente al contatto con il monolito, come suggerisce la geniale intromissione del flash-back della sua immagine, riecheggia l’ascesa dell’uomo evocata dallo Zarathustra nietzschiano, la consapevolezza dei propri mezzi, il diritto a pretendere la vita eterna. L’angolazione dell’inquadratura dal basso ottenuta ponendo l’attore sopra un piano rialzato appositamente ricreato, evoca ancora una volta il moto verso l’alto della musica straussiana, così come il ralenti si lega perfettamente al tono solenne della musica con altrettanta coerenza stilistica.
La sequenza conclusiva (28) è il suggello del soggetto nietzschiano, e l’apparizione del feto di questa nuova razza nascente non poteva che essere descritta con l’ultima citazione del poema sinfonico di Strauss. Il movimento in avanti verso il monolito (che si tramuta perfettamente nel nero assoluto dello schermo) è ancora in linea con il moto caratteristico della musica, come conferma la linea verticale della conseguente inquadratura dello spazio, anche se ora procede verso il basso, dalla luna alla terra per poi volgersi verso il feto-pianeta (subentrato come terzo elemento al posto del sole), dando un senso conclusivo ai moti ascendenti finora associati al tema.
Stilisticamente parlando un cerchio perfetto che si chiude: l’allineamento dei pianeti con cui si apre il film e l’accostamento di terra e luna al mastodontico feto astrale con cui si conclude, sono descritti con lo stesso tema di Richard Strauss.
Dal 1968 in poi, questo motivo trionfalistico è diventato l’icona della fantascienza cinematografica, il simbolo della sete di conoscenza dell’uomo a dispetto dell’ignoto, come la citazione del titolo “Odissea” di omerica memoria ci suggerisce, un classico della letteratura a cui tutto il film allude.

(Brani estratti dalla tesi di Luca Cacciatore)