Titoli di testa: due minuti di immagini frenetiche inondate di nero pece, e ritmate da una versione elettronica e martellante di Immigrant song dei Led Zeppelin, piena sintesi dell'anima oscura delle vicende.
Parte da qui, da un incubo schizofrenico, la versione hollywoodiana del caso editoriale "Millennium", trilogia nata dalla penna di Stieg Larsson già adattata per lo schermo in questi anni da un trio di registi svedesi.
Operazione certo non indispensabile, ma più che un remake quello di David Fincher sembra essere un personale punto di vista in cui il regista americano rielabora il materiale originale del libro mutandone alcuni aspetti e imprimendo il suo marchio di fabbrica.
Ne è nato un film che possiede la forza del puro cinema. Un cinema fatto di solida regia e intelligente montaggio, riflesso dell’autorialità di una pellicola esteticamente raffinata in cui si ripresentano le atmosfere tenebrose e cupe, dense di delitti e riferimenti biblici, già saggiate da Fincher nel bellissimo Se7en del lontano 1995, dandoci conferma della sua ossessione per i serial killer e gli omicidi, per il male presente nel mondo anche nei posti più insospettabili. 
Mikael Blomkvist (Daniel Craig) è un giornalista condannato per diffamazione. Attira le attenzioni di un ricco e anziano industriale, Henrik Vanger, che lo ingaggia per risolvere il mistero della nipote, scomparsa e forse uccisa diversi anni prima. La strada di Mikael incrocia quella di Lizbeth (Rooney Mara), scontrosa hacker che si appassiona al caso del giornalista e lo aiuta a risolvere l'indagine. Sullo sfondo una Svezia che mette al chiodo le vesti di luogo impeccabilmente cristallino e pulito. 
Sui contenuti della storia dominano gli aspetti investigativi del giallo, le psicologie dei protagonisti e la dinamiche sottese alla loro relazione sentimentale che mai emerge, ma anzi rimane in una zona di non definito, e che anche del finale non trova punto di svolta. In questo il film di Fincher riduce lo spessore dei personaggi, rendendoli copie meno credibili.
Su tutti la stessa Lizbeth, prima personaggio fastidioso, impenetrabile e gelido dietro la maschera gothic-punk, ora romanticamente più fragile e protesa ai sentimenti, poco appesantita da trucco e abiti in pelle nera; un ruolo che indubbiamente era reso più efficace dalla Lizbeth "originale" interpretata da Noomi Rapace.
Interessante il lavoro sul sound. Anticipate dalla cover degli Zeppelin nei titoli, le pulsazioni sonore accentuano la linea ossessiva e frenetica nell’intreccio. Sia i suoni diegetici che non creano un sottofondo ritmico che attraversa l’intera pellicola, dalle musiche sintetizzate agli oggetti che per iperbole producono colpi più robusti del normale. 
E’ tutto un vortice il Millennium di Fincher, che quasi ci cadiamo dentro anche noi.