The Thing, horror fantascientifico di Matthijs van Heijningen Jr, inaugura un nuovo tipo di film: il prequel di un remake di un originale che è allo stesso tempo prequel e “rifacimento del remake”.
Questo lungometraggio si propone di spiegare gli eventi immediatamente antecedenti al capolavoro omonimo di John Carpenter del 1982, che a sua volta riprendeva nei contenuti The Thing from Another World di Howard Hawks, e va visto come un semplice omaggio, non come un'opera che aggiunga elementi particolarmente interessanti alla storia del cinema.
Un gruppo di esploratori norvegesi, affiancato dalla paleontologa americana Kate Lloyd, magistralmente interpretata da Mary Elizabeth Winstead, si trova in Antartide ad esaminare un lastrone di ghiaccio contenente una forma di vita che si rivelerà essere un terribile alieno invasore, assassino e multiforme, in grado di imitare qualsiasi essere vivente.
Il film non è malvagio, anche se non convince del tutto, e si fa ricordare principalmente per l'ottimo prologo, per le meravigliose ed ultramoderne riprese iniziali dei ghiacci, per alcuni duelli nel finale e per la piacevole sorpresa piazzata astutamente dopo i titoli di coda.
Quello che rendeva unico ed inimitabile il cult degli anni '80 The Thing, apertamente ispirato, oltre che dal film di Hawks, dal racconto "Who Goes There?" di John W. Campbell Jr, era l'atmosfera buia e paranoica, assolutamente originale per i tempi, i continui colpi di scena, le uccisioni memorabili, su tutte quella del dottore mutilato delle mani mentre cerca di salvare la vita ad un membro dell'equipaggio praticandogli l'elettroshock, la tensione che saliva alle stelle durante il test del sangue per scoprire chi era umano e chi no ed un finale a sorpresa molto pessimista, nelle parole del regista apocalittico, che lasciava ben poche speranze di sopravvivenza ai buoni (ai tempi venne anche girato l’happy end con l'eroe MacReady che veniva portato in salvo da una squadra di emergenza, ma poi fu saggiamente eliminato).
Nonostante le promesse dei curatori degli effetti speciali, i quali avevano fatto sapere che non sarebbero stati intrusivi per quel che concerneva l'utilizzo di computer grafica nella realizzazione del mostro, purtroppo nella pellicola essa invece è troppo spesso presente: la loro rappresentazione della forma aliena rimane abbastanza fedele a quella originale creata dal mago Rob Bottin ma le loro creazioni suscitano poco spavento per via di una mancanza di realismo e di esagerazioni che la fanno sembrare in sostanza più vicina alle creature di film trascurabili come Mimic e Starship Troopers.
Un’altra delle differenze principali sta nell'utilizzo di luci e di luoghi, lì dove John Carpenter prediligeva posti chiusi ed utilizzava sovente il rosso ed il nero per conferire una sensazione di terrore e claustrofobia, ricreando inoltre un’atmosfera molto credibile di ambiente veramente ostile, gelato come in Hawks, e facendo girare scene in esterno anche a una quindicina di gradi sotto zero, van Heijningen Jr fa troppe riprese all’aperto usando un’ampia tavolozza di colori che si affastellano senza un particolare significato.
John poi saggiamente centellinò le apparizioni del mostro, che nel remake è troppo presente e sembra talmente forte ed invincibile da non aver bisogno di nascondersi dentro gli umani per attaccarli come nel cult a cui si ispira.
Infine, aspetto certamente da tenere conto, oltre al fatto che quest’ultima uscita cinematografica è un prequel e quindi doveva agire entro certi spazi prestabiliti e per forza di cose prevedibili, il tempo di realizzazione della pellicola ha giocato a favore del vecchio The Thing perché il regista all’epoca ebbe oltre un anno per realizzare il suo capolavoro, mentre nel cinema attuale si è costretti dalla produzione ad agire in fretta e ad utilizzare tecnologie moderne che troppo spesso mascherano l’assenza di idee nuove.
Mezzo voto in più per il coraggio di avere comunque reso omaggio abbastanza dignitosamente ad un film straordinario che sarebbe stato impossibile da eguagliare.