STAR 80: questo recava la targa della Mercedes che Paul Snider acquistò nel 1980 grazie al fiorente conto bancario della moglie, stella emergente della Mansion di Hugh Hefner.
Pochi mesi dopo i due sarebbero stati trovati morti nell'appartamento di lui a Los Angeles, freddati da un colpo di fucile alla testa.
Il film di Bob Fosse racconta con estrema durezza l'ascesa della giovane Dorothy Stratten, da un fast food di Vancouver a Playmate of the year nel giro di due anni, grazie alla spinta del manager e marito Paul Snider, una sorta di pimp avido di successo e affetto da megalomania.
Colpito dalla superba bellezza della diciottenne di origini olandesi, Snider la raggira e la convince a posare per alcune foto che, poi, spedisce alla rivista Playboy.
Hugh Hefner ne nota il fascino e la convoca nella sua scuderia; dopo poche pose Dorothy diventa Miss Agosto 1979.
La distanza e l'ossessione di piacere a tutti portano Snider a crisi di gelosia sempre più pesanti e pericolose per la serenità del rapporto tra i due, che, lentamente, si lacera tra piccole nevrosi e tradimenti.
Dorothy debutta nel cinema con qualche pellicola di basso livello, diventa Playmate dell'anno nel 1980 e viene scritturata da Peter Bogdanovich per il film ...e tutti risero; l'incontro con il regista diventa la chiave per la definitiva rottura con Snider.
Il tragico epilogo si consuma nell'appartamento di Snider, dove Dorothy cerca di discutere sulle pratiche del divorzio scontrandosi con le suppliche del marito volte a trattenerla al suo fianco.
Non c'è spazio per sentimentalismi. Lei cerca di lenire la sua disperazione concedendosi per l'ultima volta, ma l'artificiosità del rapporto sessuale scatena definitivamente la follia di Snider.
Costretta prona sul pavimento della camera, Dorothy muore per un colpo di fucile che le è fatto esplodere a pochi centimetri dalla testa. Snider abusa poi del suo corpo esanime, sistemato e legato su una panca speciale per il sesso, prima di spararsi in fronte.
Il film è ricordato, oltre alla regia di Fosse, soprattutto per l'interpretazione notevole di Eric Roberts, in grado di restituire sullo schermo l'attitudine sopra le righe di Paul Snider, in un crescendo di paranoia e follia che resta una delle migliori prove del fratello di Julia.
La narrazione è rivolta al pubblico che già conosce i fatti, non c'è nessuna sorpresa; fotogrammi dell'ultima scena accompagnano le prime sequenze, insinuando nell'immaginazione dello spettatore l'interrogativo su cosa, infine, verrà mostrato e cosa nascosto.
Come in un documentario si intervallano nel film interviste ai personaggi coinvolti nella vicenda, come Hugh Hefner e la madre di Dorothy, interpretata da Carroll Baker, nel cui viso sofferente è anticipata la tragedia.
Bob Fosse si concentra spesso sui primi piani, sfruttando la bravura degli attori e lavorando sul gioco di sguardi che lega i personaggi, che gravitano intorno allo splendore di Dorothy e all'esibizionismo sfrenato di Snider.
Dolce e coraggiosa Mariel Hemingway nei panni di Dorothy.
Importante anche per capire le dinamiche della scalata al successo nella Hollywood di quegli anni, il film documenta l'ennesima storia realmente accaduta nella quale chi non ha un equilibrio interiore sufficientemente stabile viene travolto da eventi straordinariamente più grandi della media. Esporsi troppo può rivelarsi un'arma a doppio taglio per chi è fragile.