Dopo avere analizzato la criminalità mafiosa nella sua accezione più ampia (Goodfellas – Quei bravi ragazzi) e quella legata al gioco d'azzardo (Casinò), che ne è parente stretta, in quanto la mafia ha nel gioco d'azzardo uno dei canali privilegiati per ripulire il denaro sporco, in un'ipotetica trilogia, con The Wolf of Wall Street, Scorsese ora analizza i crimini del mercato finanziario.
A differenza dei primi due, crimini meno cruenti, perché nessuno ci rimette la vita, ma sono altrettanto odiosi perché molti piccoli risparmiatori, negli anni antecedenti la crisi economico-finanziaria, hanno visto andare in fumo i loro sudati risparmi accumulati in una vita di sacrifici, inseguendo l'illusione di un facile guadagno, spinti in questo da agenti di borsa o operatori finanziari senza scrupoli.
In tre ore di film Scorsese ci racconta l'ascesa e la caduta di uno di questi squali della finanza, Jordan Belfort, che, nell'arco di un decennio è riuscito, attraverso una società di brokeraggio finanziario - la Stratton Oakmont – fondata e gestita con la collaborazione di un gruppo di amici squinternato, ad accumulare una fortuna ultra milionaria. Piazza a ignari compratori titoli spazzatura di pseudo società (in realtà soltanto carta straccia) attraverso spericolate e fraudolente operazioni finanziarie che gli hanno consentito di guadagnare cifre inimmaginabili con le commissioni ricavate da queste vendite.
Ma il punto di vista che Scorsese ci vuole mostrare non è tanto il meccanismo perverso della finanza drogata che sta dietro a queste fortune costruite sul nulla, quanto, piuttosto, come l'ebbrezza dei soldi e l'avidità sfrenata possano far perdere agli esseri umani qualsiasi contatto con la realtà.
I soldi danno l'illusione a Jordan (uno stupefacente Leonardo Di Caprio) che tutto gli sia concesso: dimore principesche, gioielli, abiti costosissimi, automobili lussuose, sesso sfrenato con tutte le donne da cui si può acquistare qualsiasi tipo di prestazione.
E, ancora, droga di tutti i generi: cocaina, crack, Quaalude (Metaqualone).
Ma, esattamente come accade in Quei bravi ragazzi e Casinò, la giustizia americana, tramite quella straordinaria organizzazione incaricata di combattere la criminalità che è l'FBI, alla fine arriva a chiedere il suo salatissimo conto.
E l'impressione che si ricava è che in America il crimine non rimane mai impunito e i criminali vanno in galera. Riflessione, quest'ultima, che a noi spettatori abituati ad assistere alle vicende italiane lascia una certo amaro in bocca.
Il ritmo del film in tre ore non perde mai intensità e il tempo della visione trascorre senza momenti di stanchezza o noia, qualità estremamente rara nei nuovi cineasti.
Martin Scorsese, con questo film realizzato sulla falsariga e con la tecnica dei due titoli citati sopra, utilizza stilemi a lui abituali: voce off che racconta la vicenda, protagonista che si ferma nella recitazione e che si rivolge direttamente agli spettatori, mirabolanti movimenti di macchina, momenti di dialogo intenso e concitato che si aprono a improvvise accelerazioni nell'azione, magnifici piani sequenza.
Insomma, Martin si conferma come uno degli ultimi grandi maestri del cinema.