Il film è tratto dal best-seller di Ira Levin e considerato il primo capolavoro di Roman Polanski. Si caratterizza come film di genere, ma anche come film d'autore: per il regista il mondo è un luogo cupo, dove non si può scindere completamente tra realtà e finzione. Esternamente, infatti, il film sembra strutturato secondo una certa fedeltà ad una realtà di riferimento anche se, in fondo, non si riesce a capire quale sia la verità.
Protagonista è una giovane coppia di sposi: Rosemary Woodhouse (Mia Farrow) e Guy Woodhouse (John Cassavetes). I due si trasferiscono a New York e vanno ad abitare in un palazzo (il Bramdford) che gode di cattiva fama, non lontano da Central Park: al suo interno, si dice, venivano praticati riti satanici.
Un corridoio divide le quattro stanze che lo compongono: nel romanzo esse sono collocate al di là del corridoio; Polanski le filma come se fossero allo specchio. La cucina è la prima a sinistra. Con una cesura entriamo nella sala delle erbe, la più scura, laddove Guy non entra. A seguire uno stacco ed un raccordo sulla soggettiva di Rosemary per leggere il biglietto lasciato dall'inquilino precedente. L'obiettivo del regista è di creare, in questa trasposizione cinematografica, una suspense che non troviamo nel romanzo di Levin.
Polanski dice di no al linguaggio verbale e fa parlare gli ambienti, dando prova di grande abilità nell'uso della camera. L'appartamento è dipinto di bianco, la tappezzeria di giallo, colori non scelti a caso: sono i colori della Chiesa Cattolica. Rosemary manifesta, infatti, la prima crisi allucinatoria in concomitanza all'arrivo di papa Paolo VI: dopo una cena tenutasi in casa dei nuovi vicini, i signori Castevet, Rosemary si sente male a causa di una mousse al cioccolato. Questo non impedirà alla coppia di concepire il loro primo figlio, concepimento che per Rosemary assumerà le sembianze di un incubo.
Particolari li possiamo rintracciare nell'uso di un montaggio didascalico adottato dal regista per raccontare la cena dai nuovi vicini: attraverso una "scalatura dei piani", la macchina si muove partendo dal maglione rosso sangue del signor Castevet (Sidney Blackmer), per poi abbracciare la coppia Rosemary-Guy. Il vecchio Castevet, terminata la cena, si va a sedere su una sedia: essa non occupa il centro dell'inquadratura, laddove si trova, invece, una lampada diegetica. Quest'ultima non illumina ma mette in ombra il volto di Roman Castevet. Rosemary e Guy, al contrario, occupano tutta la superficie del quadro. Altro particolare è il rumore delle posate d'argento che riecheggiano nella stanza nella quale i quattro stanno consumando la cena.
L'attenzione per i dettagli contrasta con la verosimiglianza degli ambienti, in tutto e per tutto ricostruiti in studio. Gli ambienti denotano, infatti, una grande luminosità che induce lo spettatore a chiedersi: "dove si trova il perturbante?". La risposta più spontanea è che, probabilmente, il perturbante è nella mente di Rosemary. Attraverso una rielaborazione onirica della realtà, Rosemary immagina che Minnie Castevet (Ruth Gordon) abbia praticato su di lei un rito satanico in seguito al quale non può più vedere e sentire. Leggendo un libro di stregoneria, la giovane scopre che Roman Castevet è figlio di un celebre stregone Adrien Marcato che si diceva fosse riuscito ad evocare Satana in uno dei suoi sacrifici.
Il dottor Hill (Charles Grodin) la considera pazza così, dopo la morte del confidente della donna, Hutch (Maurice Evans) entrato nell'appartamento per recuperare il guanto che aveva perso, alla donna viene provocato il parto ed il bambino nascosto. Lei lo crede morto sino a quando un giorno sentirà dei vagiti provenire dall'appartamento adiacente. Il dondolio della culla viene fermato improvvisamente da un coltello illuminato, citazione hitchcockiana.
Rosemary si dirige verso l'appartamento dei Castevet con in mano un coltello. Polanski adotta una prospettiva simmetrica in questo caso: la macchina da presa segue i passi di Rosemary. Il regista gioca sulla nostra percezione rendendoci volutamente incerti sulla realtà di ciò che vediamo. Nella scena della culla nera possiamo parlare di un'ottima soggettiva al 50%, per il resto si tratta di una semi-soggettiva capace di farci vedere insieme all'attore, rendendo così le cose più difficili, non essendo né dentro né fuori dal personaggio. Solo Rosemary è visibile con un grandangolo che la deforma facendola apparire sempre meno bella.
Ad un certo punto ecco presentarsi allo spettatore gli occhi di Satana: questo elemento è sufficiente a far dichiarare agli spettatori del film di aver visto il bambino con gli occhi gialli, come testimoniato dai riscontri su uomini e donne a cinque minuti dall'uscita dalle sale cinematografiche. Polanski ha saputo agire manipolando il pensiero della spettatore, influenzato dall'accumulo di indizi disseminati fin dall'inizio. Anche qui, come in Repulsion, domina il principio narrativo dell'ambiguità d'interpretazione.